Rocco Chinnici: 37 dopo la morte del Giudice

Articolo di Merelinda Staita

“La mafia uccide ancora, assassinati a Palermo un giudice e tre persone”: Così titolava l’edizione del Tg siciliano di 37 anni fa: quel 29 luglio del 1983. In via Pipitone Federico, a Palermo, un’autobomba uccise il giudice Rocco Chinnici, 58 anni, capo dell’ufficio istruzione del tribunale e “padre” del pool antimafia di Falcone e Borsellino. Insieme al consigliere istruttore muoiono il portiere del palazzo, Stefano Li Sacchi, e due uomini della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta. L’unico sopravvissuto alla strage fu l’autista Giovanni Paparcuri, che oggi cura con grande dedizione il Museo della memoria Falcone-Borsellino al Palazzo di Giustizia di Palermo.

Giovanni Paparcuri, proprio ieri sera, ha espresso questo suo pensiero su Facebook: “Grazie a quanti da stamattina mi stanno manifestando il loro affetto per la ricorrenza di domani, è vero sono trascorsi 37 anni ma come ho scritto ieri i ricordi, i brutti ricordi non vanno mai via. Qualcuno mi ha anche chiesto che cosa stavo facendo il giorno prima della strage. Sapevo che facevo un lavoro pericoloso ma se ci metti passione non ci pensi assolutamente, magari ti aiuta la convinzione che a te certe cose non possono accadere. Comunque, la vigilia, cioè oggi, ero libero ed ero a mare a divertirmi con la comitiva, sereno ed ignaro che all’indomani qualcuno aveva fissato per me l’appuntamento con la morte, ma forse proprio perché io non l’avevo preso mi sono salvato, ammaccato, ma salvato. L’appuntamento comunque è solo rinviato”.

Stamattina alle 7.50 ha voluto aggiungere un altro pensiero su Facebook: “A quest’ora decidevo che blindata prendere, l’Alfetta che amavo e che mi era stata affidata per il giudice Falcone o la Lancia Gamma che amava il consigliere Chinnici, ma che io non preferivo perché molto scomoda, dovevo anche decidere se beccarmi un’altra censura, cioè ogni magistrato voleva la propria macchina assegnata, una volta prelevai un giudice con una blindata che non era la sua e qui scattò la censura, ma siccome ero e sono un ribelle optai per l’Alfetta. Forse anche questa decisione mi salvò la vita perché l’Alfetta aveva una blindatura superiore.”

Poco tempo prima di morire Chinnici disse: “Io non ho paura della morte… e so benissimo che possono colpirmi in ogni momento”. “Bisogna parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai.” Questo avrebbe voluto Chinnici e questo bisogna fare, non piegarsi mai a nessun compromesso e denunciare tutto quello che distrugge la nostra società.

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