In Italia il cinema estremo si è sviluppato negli anni Settanta e non come semplice riflesso della cinematografia statunitense. La via italiana all’exploitation ha una sua originalità e va ricercata nella genesi del cinema popolare. La parola d’ordine è quella di mostrare il mostrabile e ne consegue che il cinema non deve porsi limiti di sorta. Niente è vietato. La macchina da presa deve indagare l’inconoscibile esasperando violenza e sesso. Primi esempi di cinema estremo in Italia sono i tanto esecrati mondo movie, seguiti a ruota da tutto quel cinema delle perversioni, come necrofilia (si pensi allo stesso Buio omega) e zoofilia (stile La Bestia di Walerian Borowczyk), ma anche dalle pellicole del sottogenere nazi-porno a base di sadismo e torture. Non dimentichiamo il filone cannibalico che vede tra i suoi migliori esempi CannibalHolocaust di Ruggero Deodato.
Joe D’Amato è uno dei padri dell’exploitation italiana, così come è il padre del nostro cinema hard core. Lo ricordiamo soprattutto per due lavori già analizzati: Buio omega e Antropophagus, pellicole dove il regista romano riesce a contaminare generi così diversi come l’eros, il porno e l’horror. D’Amato ha sempre avuto la facilità di miscelare le tre componenti tirando fuori un prodotto originale, spesso di impossibile classificazione.
Nel 1982 gira Rosso sangue (titolo inglese Absurd), un horror puro non contaminato da altri generi, uno dei pochi girati da Massaccesi. Possiamo dire che si resta nel cinema di exploitation, anche se non si raggiungono i livelli di originalità toccati nei due lavori precedenti. Il film nasce come una sorta di seguito apocrifo di Antropophagus, o per lo meno con la volontà di bissarne il successo sostituendo la figura del mostro cannibale con quella di un folle e implacabile serial killer.
Aristide Massaccesi firma la regia con lo pseudonimo di Peter Newton. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Luigi Montefiori (si firma John Cart), direttore della fotografia sempre Massaccesi (Richard Haller), montaggio di Ornella Micheli (George Morley), musiche di Carlo Maria Cordio. Produce Metaxa Corporation. Interpreti: George Eastman (Luigi Montefiori) è il mostro Niko Tanopolous, Annie Belle (Annie Brilland) è Emily, Charles Borromei è il commissario, Edmund Purdom è il prete, Katya Berger è Katya e Kasimer Berger è Willy. Ci sono anche Hanja Kochansky, Ian Dandy, Led Rusoff e il futuro regista Michele Soavi in una rapida apparizione.
La trama è semplice e ricalca le tipiche narrazioni da slasher movie alla Halloween, solo che qui troviamo eccessi splatter sconosciuti nella pellicola statunitense. C’è un essere che pare immortale, un mostro frutto di esperimenti scientifici condotti in Grecia su una cavia umana. Un prete lo insegue, lui per scappare si va a infilzare l’intestino sopra una cancellata, ma non è morto come sembra in un primo momento. Il gigantesco individuo dalle fattezze umane si risveglia in ospedale e fa fuori un’infermiera in una scena allucinante di trapanazione del cranio. In precedenza abbiamo visto Montefiori entrare in una casa con le budella che escono dall’intestino, citando a piene mani Antropophagus. Forse la scena più efferata di tutta la pellicola. L’assassino pianta il trapano nella testa della donna, la punta dell’attrezzo fuoriesce dalla parte opposta, come se attraversasse un panetto di burro. Inizia la fuga del mostro, mentre un sergente da fumetto (un provinciale ottuso che non crede alle parole del prete) ne ostacola la cattura invece di aiutare. L’essere non può morire perché ha il potere di rigenerare le cellule danneggiate del suo corpo e ogni volta che viene ferito diventa ancora più folle. Infatti le cellule che si sostituiscono alle precedenti sono malate. Nella fuga incontra sulla sua strada un laboratorio di macelleria e aggredisce l’uomo che sta lavorando. Il macellaio tenta di ucciderlo e lo colpisce con diversi colpi di pistola che niente possono contro l’essere mostruoso. Il macellaio finisce con il cranio segato in due da uno degli strumenti di lavoro e il suo corpo resta abbandonato in un lago di sangue. Queste due prime cene splatter (infermiera e macellaio) sono ispirate a Zombi 2 di Lucio Fulci (1979). Chi non ricorda la sequenza dell’occhio spinto verso la scheggia di legno? Il meccanismo cinematografico è lo stesso, perché il cranio umano viene spinto poco a poco verso l’attrezzo che lo distruggerà. C’è anche un senso di giustizia in quest’ultima scena: il macellaio muore proprio come le bestie che quotidianamente scanna, ma non sappiamo dire quanto questo elemento polemico e ironico sia voluto dal regista. Il mostro vaga per il paese e fa fuori pure un motorizzato Michele Soavi, anche se questo delitto è meno spettacolare: si limita a soffocarlo e a lasciarlo in una pozza di sangue. A questo punto inizia la parte della pellicola che presenta maggior tensione e interesse. L’essere diabolico entra nella casa dove vivono una ragazza costretta a letto da una grave malattia e il fratellino. Incontriamo pure una citazione indiretta del vecchio Sesso nero, che la baby-sitter sta guardando in televisione tra le proteste del bambino che vorrebbe vedere il football. Ma non è il Sesso nero originale, ci sono Shanon e la Ramirez in primo piano, ma i dialoghi sono quelli di un film d’amore strappalacrime. La baby-sitter lascia incautamente la porta socchiusa e il mostro entra in casa dopo aver ucciso anche il cane (scena che si intuisce soltanto). Una picconata alla base del cranio fa fuori la donna in un’altra scena che fa gioire gli amanti dello splatter. Subito dopo c’è una bella sequenza con il bambino mascherato da scheletro che spaventa l’infermiera in arrivo e soprattutto lo spettatore. Questa parte della pellicola è un po’ troppo lunga, un montaggio più sobrio ne avrebbe fatto guadagnare in fluidità narrativa. L’infermiera scopre il corpo picconato della baby-sitter e cerca di far uscire di casa il bambino per trovare aiuto, poi si barrica nella stanza da letto della ragazza malata. Una musica incessante accompagna un crescendo di tensione ed è un piccolo capolavoro la sequenza dove il mostro cattura la baby-sitter. Lunga e terribile la mitica scena del forno a gas: la donna viene cotta a fuoco lento e il suo viso cambia colore passando dal rosa al viola. Una realizzazione ottima. Tra l’altro la baby-sitter non è morta e con il viso cotto dal calore tenta di uccidere il mostro accoltellandolo alla gola. Non ci riesce ma salva comunque la vita al bambino. Il pazzo assassino completa l’opera uccidendola con un paio di forbici. A questo punto entra in scena la ragazza malata che si è liberata dell’apparecchio ed è scesa dal letto. Il mostro cerca di catturarla, ma lei è rapida a liberarsi e gli pianta negli occhi il compasso che teneva con sé per disegnare cerchi sopra un foglio. Lo spettatore comprende il motivo di quel particolare inserito dal regista come un elemento apparentemente ininfluente. Nel cinema niente è mai inutile, tutto è funzionale allo sviluppo della storia. Il mostro è cieco, grida di dolore come un novello Polifemo, ma riesce ugualmente a uccidere il prete che ha fatto irruzione nella casa. Proprio mentre il mostro sta strozzando il prete, la ragazza lo aggredisce alle spalle e con un’ascia lo decapita. Questa scene è oltremodo splatter e i colpi di scure sul collo del mostro sono realistici. “Willy, non devi aver più paura” dice la ragazza coperta di sangue in una delirante scena finale. Il bambino ride. Lei solleva la mano destra mentre viene inquadrata in primo piano la testa mozzata del mostro. Era l’unico sistema per ucciderlo, come fosse uno zombi.
L’atmosfera di Rosso sangue è da thriller claustrofobico, ambientato in un locale chiuso, ricalca lavori come Venerdì 13di Sean S.Cunningham(1980), dove si sa chi è l’assassino ma l’effetto sorpresa è dato da come e da quando colpirà. Per restare in Italia uno schema simile lo troviamo pure inCamping delterrore (1987) di Ruggero Deodato e in Deliria (1987) di Michele Soavi (prodotto da Massaccesi). Un maniaco omicida immortale elimina le sue vittime, una dopo l’altra, nei modi più efferati. Un film claustrofobico e inquietante nel suo delirio onirico e visionario. Proprio sui modi dell’eliminazione si pone la maggior attenzione del regista, che abusa di effetti splatter e gore particolarmente riusciti. Vediamo teste trapanate, segate, picconate, mozzate e altre uccisioni orribili. Il film non ha la stessa forza di Antropophagus e non riscuote gli stessi consensi. Si ricorda soltanto per le scene splatter e per la sequenza del forno con la vittima cucinata a dovere. Circolano edizioni Avo Film tagliatissime di Rosso sangue che sconsigliamo, perché vedere una simile pellicola senza le sue parti forti equivale a non vederla. Si perdono gli effetti speciali e le sequenze chiave importanti di un lavoro che si fa apprezzare per un crescendo di tensione. Il cast degli attori è ottimo. Bravo come sempre Montefiori nella parte del mostro implacabile, credibile Purdom come prete-detective, ottima Annie Belle, bene i due ragazzini che sono i figli di William Berger.
Rosso sangue non ha la stessa carica sconvolgente di Buio omega e di Antropophagus. È a suo modo un film troppo normale, poco contaminato, più vicino agli slasher movie statunitensi che al resto della produzione sexploitation di D’Amato. Forse è per questo che non riscuote un grande successo. Il pubblico di Massaccesi si aspettava ben altro. Lo scarso interesse dimostrato dagli appassionati verso la pellicola fermò il progetto di un terzo capitolo della serie.
Aristide Massaccesi, senza farsi troppi problemi, termina il 1981 girando quattro film hard, con la collaborazione dello sceneggiatore Claudio Bernabei, lavori che costano poco e rendono molto: Sesso acerbo, La voglia, Voglia di sesso e Il mondo perverso di Beatrice. Tutti i film sono firmati con lo pseudonimo di Alexandre Borsky. Sceneggiatore risulta un certo Joseph Pilgrim (in realtà Massaccesi e Bernabei). Il cast tecnico è lo stesso: montaggio di Vanio Amici, assistente alla regia è la moglie del regista Donatella Donati, le musiche sono di Walter Rizzato, la fotografia è di Antonio Benetti (ma Massaccesi ci mette le mani). Esistono versioni soft di tutte le pellicole.
Voglia di sesso è interpretato dalla solita Laura Levi, Mark Shanon e dalla giunonica Pauline Teutscher. È la storia di due cugine che vivono come eremite in una casa di campagna. Romana (Pauline Teutscher) è ancora vergine ed è fedele al ricordo dello zio, Francesca (Laura Levi) invece è una giovane ragazza che vorrebbe sperimentare le gioie del sesso. L’arrivo di Roberto sconvolge la routine domestica delle due cugine che ne fanno il loro conteso oggetto erotico. Romana, in un primo tempo, è combattuta tra l’odio e la diffidenza che prova per gli uomini e la voglia di sesso che Roberto le fa scaturire. Alla fine anche lei cede e il triangolo viene accettato senza problemi. Roberto, stremato dalle continue richieste sessuali delle due cugine, pone fine al rapporto con un’improvvisa fuga. Francesca e Romana tornano a essere di nuovo sole nel casolare di campagna e vivono nel ricordo della meravigliosa esperienza. Nel film c’è tutto il repertorio erotico tipico di Massaccesi: masturbazioni femminili, voyeurismo, malizia perversa, e rapporti saffici. Da notare che Laura Levi è doppiata con la erre blesa che le conferisce un buffo accento francese. Come sempre nel cinema porno di Massaccesi esiste un abbozzo di storia e la pellicola si fa guardare anche nella versione soft.
In Sesso acerbo Pauline Teutscher è una moglie insoddisfatta che ritrova lo slancio erotico per merito di un ragazzino cui dovrebbe fare da governante. Laura Levi è una donna in carriera, madre del giovanotto e al tempo stesso amante del marito della Teutscher. Decide di assumere la donna come domestica solo per avere più tempo da dedicare all’amante. Quando il perverso triangolo giunge al culmine, moglie e marito si accorgono di amarsi ancora e lasciano i rispettivi amanti. La Teutscher aspetta un figlio, con tutta probabilità del ragazzo, ma il marito lo accoglie come il sospirato erede. Il film è pessimo, tra l’altro è girato nella stessa location di Voglia di sesso, in fretta e furia e con poche idee. Lento, disarmante, con scene di voyeurismo e masturbazioni femminili che si alternano a lunghe passeggiate o lunghe scopate (a seconda che si veda la versione tagliata o quella integrale), ma c’è poco del vero Massaccesi. Ricordiamo soltanto la trovata geniale dei due omosessuali che si eccitano e fanno l’amore davanti al ragazzo e alla Teutscher.
Non dilunghiamoci oltre su questo genere di film dichiaratamente hard e con poche particolarità che li distinguono dal resto della produzione anni Ottanta. Vogliamo soltanto ricordare alcune dichiarazioni a ruota libera rilasciate da Pauline Teutscher al settimanale L’Europeo. “Preferisco le scene di sesso con le donne. Sono più semplici, più morbide, sanno come toccarti senza farti male”. “Gli uomini hanno sempre paura che li prendi in giro perché ce l’hanno troppo piccolo o non sono abbastanza potenti”. “Gli italiani sul set sono poco professionali, pieni di paure, per farli funzionare ci vuole un’ora e vanno rassicurati. Preferisco gli stranieri che sono sempre pronti e non si fanno tanti problemi”. Era il tempo che un film hard ancora faceva sensazione, le riviste popolari e i settimanali d’opinione andavano a intervistare i protagonisti per capire come mai un’attrice accettava simili produzioni. Su questo punto Anna Maria Napolitano (Annj Goren) è sempre stata esplicita: “Per bisogno di denaro. Non è umiliante soddisfare un uomo con la bocca sul set, è umiliante non avere i soldi per pagare l’affitto o per mandare tua figlia all’Università”. La Goren aveva una laurea che non serviva per trovare un lavoro soddisfacente. Rimediò piuttosto bene con il suo corpo che dette vita a numerosi film hard di Aristide Massaccesi.
Il mondo perverso di Beatrice (1981) è una coproduzione Bernabei-Massaccesi con Paolo Gramignano e Regine Mallot, e si ricorda soprattutto per la bella protagonista Marjorie Blin che ha girato qualche hard con D’Amato e poi è scomparsa di scena.