Salvatore Quasimodo: 119 anni dalla nascita per il poeta di Modica…ed è subito sera

Articolo di Merelinda Staita

Salvatore Quasimodo è nato a Modica (Ragusa) il 20 Agosto del 1901. Salvatore Quasimodo trascorre l’infanzia e la giovinezza in Sicilia, spostandosi in diverse città in cui veniva trasferito il padre ferroviere. Si iscrive alla facoltà di Ingegneria a Roma, ma le difficoltà economiche lo costringono a interrompere gli studi. Nel frattempo studia da solo il greco e il latino e scrive le prime poesie. Nel 1930 viene invitato dal cognato Elio Vittorini a Firenze, dove entra in contatto con i poeti ermetici. La prima raccolta poetica di Quasimodo, Acque e terre (1930), cui seguirà Oboe sommerso (1932). Nel 1934 si stabilisce a Milano e nel 1941 ottiene la cattedra di letteratura italiana presso il conservatorio. In questi anni la creazione poetica è accompagnata da un’intensa attività di traduttore. Nel 1942 esce una nuova edizione dei suoi versi con il titolo Ed è subito sera. L’esperienza della guerra provoca nel poeta un profondo cambiamento che lo induce a prendere le distanze dalla poetica dell’Ermetismo e ad assumere posizioni impegnate sia in campo politico sia letterario. Una coscienza sociale caratterizza le poesie delle raccolte successive come: Giorno dopo giorno (1947). Nel 1959 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Muore a Napoli nel 1968.

Le due fasi della produzione poetica di Quasimodo sono:

LA FASE ERMETICA

(Ed è subito sera)

I temi:

  • La Sicilia mondo puro dell’infanzia
  • La poesia come ricerca di valori individuali e religiosi
  • Il poeta “esule” segnato dalla solitudine

Le scelte formali

  • Ricerca della “parola pura”
  • Uso dell’analogia, della metafora e della sinestesia
  • Lessico alto (aulico)
  • Verso libero
  • Musicalità fluida

LA FASE DELL’IMPEGNO

(Giorno dopo giorno)

I temi:

  • La realtà di morte e sofferenza della guerra
  • Poesia come voce della sofferenza collettiva
  • L’esilio

Le scelte formali:

  • Descrizioni realistiche e concrete
  • Ricerca del dialogo e della comunicazione
  • Lessico più accessibile
  • Uso dell’endecasillabo

Una delle poesie che amo di Quasimodo è  “Alle fronde dei salici” inclusa nella raccolta Giorno dopo giorno.

Testo della poesia i versi sono tutti endecasillabi

1. E come potevamo noi cantare
2. Con il piede straniero sopra il cuore,
3. fra i morti abbandonati nelle piazze
4. sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
5. d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
6. della madre che andava incontro al figlio
7. crocifisso sul palo del telegrafo?
8. Alle fronde dei salici, per voto,
9. anche le nostre cetre erano appese,
10. oscillavano lievi al triste vento.

Parafrasi della poesia

1.Come avremmo mai potuto comporre poesie
2. con l’occupazione straniera che ci pesava nell’animo,
3. in mezzo ai morti abbandonati nelle piazze
4. sull’erba resa dura dal ghiaccio, sentendo i lamenti
5. dei bambini, innocenti come agnelli, il tremendo grido funebre
6. della madre che andava incontro al figlio
7. crocifisso sul palo del telegrafo?
8. Sui rami dei salici, per un voto,
9. Anche le nostre cetre (i simboli della nostra poesia) stavano appese
10. e oscillavano lievemente al vento portatore di dolore.

Analisi e Commento

Alle fronde dei salici, che apre la raccolta Giorno dopo giorno del 1947, è stata composta da Quasimodo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale ed esprime tutta l’amarezza del poeta per l’oppressione del “piede straniero”, dei nazisti che hanno invaso l’Italia. Si tratta di una poesia sofferta e partecipata, che rappresenta tutta l’impotenza del poeta, che vorrebbe esprimere tutto il suo dolore, ma si chiede quale sia realmente il significato ed il valore della poesia di fronte agli orrori della guerra. La risposta è negativa: di fronte all’efferatezza della guerra, che cancella persino i sentimenti più elementari di pietà e di umanità, anche i poeti non possono far altro che tacere e appendere le loro cetre, simboli del loro canto, ai rami dei salici. Come emerge anche dalla congiunzione iniziale “e”, sembra che Quasimodo voglia interloquire, seppure in modo fittizio, con qualche critico che gli ha imputato il suo ermetismo e il suo silenzio.

Il richiamo al salmo 136 della Bibbia sulla prigionia degli Ebrei a Babilonia, che avevano anch’essi appeso le cetre ai rami dei salici, è evidente e fa assumere alla rappresentazione dell’orrore un carattere meditativo e solenne. Anche il salice è un albero tradizionalmente associato al pianto e al dolore, mentre il giovane “crocifisso” richiama evidentemente la figura di Cristo, a cui la madre, emblema della Vergine Maria, va incontro; invece, il “telegrafo” è uno strumento moderno, emblema delle nuove tecnologie. Dunque, immagini di dolore si uniscono saldamente a quelle del presente.

In questo componimento, usando il “noi”, Quasimodo dimostra una nuova apertura della sua poesia verso il collettivo e la storia: il poeta deve essere attento alle vicende della storia e talvolta riconoscere la sua impotenza di fronte ad esse. Nei versi successivi, con la metafora “erba dura di ghiaccio” (v. 4), anche la natura sembra partecipare al dolore collettivo. Crocifisso sul palo del telegrafo v.7 si riferisce ai partigiani uccisi per rappresaglia venivano esposti sui pali telegrafici, come cupo monito della popolazione (questo verso richiama il sacrificio di Cristo sulla Croce). Al verso 8 troviamo per voto che significa in segno di sacrificio a Dio

La poesia ha un ritmo rapido all’inizio, ma poi termina con una spiegazione molto più “lenta”, che esprime tutta la rassegnazione del poeta. Come abbiamo visto, sono numerose le figure retoriche tipiche dell’ermetismo, come l’analogia e la sinestesia, anche se il linguaggio, nuovo e chiaro, esprime chiaramente la volontà del poeta di inaugurare una nuova fase “corale” della sua produzione.

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