Salvatore Samperi: malizia e i peccati in famiglia

Articolo di Gordiano Lupi

Salvatore Samperi (Padova, 1944 – Roma, 2009) nasce in una famiglia borghese, frequenta l’Università di Padova ma lascia presto gli studi e si iscrive al Movimento Studentesco del 1968, esperienza politica che gli lascia in eredità una carica antiborghese che caratterizza buona parte della sua produzione cinematografica.

   Samperi debutta alla regia a soli ventiquattro anni – dopo aver fatto il segretario di edizione in alcuni film di Marco Ferreri – e lo fa alla grande realizzando con un budget esiguo Grazie zia (1968), un film importante per la futura commedia erotica, ispirato a I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio. Il regista è un grande ammiratore di Bellocchio, la sua opera prima denota condivisione di certi temi antiborghesi e critici nei confronti della società contemporanea. Il tema della dissoluzione della famiglia espresso da Lou Castel e da Paola Pitagora nel dissacrante debutto di Bellocchio, si ripete nell’esordio di Samperi, che nel suo film dedica maggior attenzione all’aspetto erotico – morboso. L’interprete principale è ancora una volta Lou Castel, nei panni di Alvise, figlio di industriali che si finge paralitico perché rifiuta di integrarsi nella società. Lisa Gastoni è la zia Lea, premurosa e amorevole che si vede affidare il nipote e lo tratta nel modo migliore cercando di recuperarlo, ma tra i due comincia una relazione morbosa che porta alla distruzione reciproca. Alla fine il ragazzo chiede alla zia di ucciderlo. Samperi è molto giovane, sceneggia un film contestatario, girato in bianco e nero, insieme a Sergio Bazzini e Pier Giuseppe Murgia, aggiornando i temi espressi da Bellocchio secondo la lezione del dibattito sessantottino. Il regista vuol fotografare l’autodistruzione della borghesia ricorrendo a una serie di simbolismi erotici: Gabriele Ferzetti è Stefano, l’amante di Lea (intellettuale di sinistra che ha fatto la resistenza), ma al tempo stesso rappresenta l’illusione democratica, così come la zia incarna la ribellione ai modelli precostituiti e un impulso regressivo verso la giovinezza. Samperi insiste sul rapporto sadomasochista che lega zia e nipote, una visione attualizzata del binomio eros – thanatos, ma il film è spontaneo, genuino e civilmente arrabbiato. Il lavoro di introspezione psicologica sui personaggi è approfondito, i caratteri non sono mai abbozzati, la sopraffazione sessuale di Alvise su Lea rappresenta in maniera convincente la rivincita degli studenti sul mondo degli adulti. Samperi realizza un quadro perfetto di una società in crisi e di una famiglia disgregata in preda a un violento scontro generazionale. Non pare che la storia sia una semplice scusa per mostrare scene di sesso, come succederà in film minori di pura imitazione. La qualità di questa importante opera prima è testimoniata da un’intensa colonna sonora di Ennio Morricone – contenente brani di Sergio Endrigo – dalla fotografia in bianco e nero di Aldo Scavarda e dal montaggio serrato di Silvano Agosti. Lisa Gastoni è sensuale e provocante, mostra generosi nudi e rilancia la sua carriera prestando volto e corpo a un ruolo complesso di donna matura alle prese con un amore scandaloso. La donna diventa succube del ragazzo, lascia l’amante e il lavoro, l’amore giocoso e spensierato, ma finisce sull’orlo di un baratro senza ritorno. Lou Castel replica il personaggio interpretato ne I pugni in tasca, ma con alcune differenziazioni, anche se è il solito anarcoide contestatario che non vede spiragli positivi nella società del periodo. La pellicola viene presentata al Festival di Cannes nel 1968, ma la critica si divide tra chi la definisce un capolavoro e chi sottolinea i debiti con I pugni in tasca. Grazie zia fa nascere un sottogenere, quello dei Peccati in famiglia, che produrrà una serie interminabile di opere nel panorama della commedia sexy. In questa sede ricordiamo il satirico Grazie nonna (1975) di Marino Girolami, interpretato da Edwige Fenech. 

   Cuore di mamma (1969) segue il solito canovaccio contestatario post Sessantotto ed è un film duro e provocante interpretato da Carla Gravina, Beba Loncar Philippe Leroy, Paolo Graziosi, Yorgo Voyagis,  Mauro Gravina e Paolo Ciarchi. Carla Gravina è Lorenza, una borghese insoddisfatta che assiste impotente alle imprese criminali del figlio (tema de I pugni in tasca), un nazista che uccide i due fratellini. La donna comincia a frequentare un gruppo rivoluzionario e mette una bomba nella fabbrica del marito. Il soggetto è di Samperi, con la collaborazione di Sergio Bazzini, mentre la sceneggiatura è di Dacia Maraini, ma non si replica il piccolo capolavoro di Grazie zia. Tutto è molto di maniera, si seguono le regole dei film contestatari che cominciano a uscire in gran numero e che diventano sempre più ideologici e involuti. Carla Gravina fa alcune concessioni al nudo ed è questo il solo motivo di interesse per la nostra trattazione, visto che la tematica di fondo è melodrammatica. La colonna sonora è di Ennio Morricone che presenta canzoni come Piccolo uomo di Ivan Della Mela. Il film non riscuote un grande successo, così come non viene capito Uccidete il vitello grasso e arrostitelo (1970), pellicola che affronta le stesse tematiche della dissoluzione della famiglia borghese e di una critica amara alla società democristiana. Interpreti: Maurizio Degli Esposti, Marilù Tolo, Jean Sorel, Pier Paolo Capponi, Gigi Ballista, Noris Fiorina e Aleka Paizi. Scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Dacia Maraini, fotografia elegante di Franco Di Giacomo, montaggio di Franco Arcalli, musiche intense di Ennio Morricone. Il film non può dirsi riuscito ed è difficile rivalutarlo anche a distanza di molti anni. Il tema è simile ai precedenti lavori, Samperi analizza il marcio della società borghese, seguendo la lezione de I pugni in tasca, ma lo fa con minor originalità rispetto a Grazie zia. Il canovaccio è semplice. Il giovane Enrico sospetta che il fratello Cesare abbia ucciso il padre e lo dice alla cugina, amante del fratello, di cui è anche lui innamorato. La cugina fa parte del complotto, seduce il ragazzo, finge di accudirlo con amore quando si ammala di polmonite e invece lo lascia morire negandogli le cure. Ai nostri fini il solo motivo di interesse è costituito da una dark lady intrigante come Marilù Tolo, lanciata da questo film come possibile diva della commedia erotica. L’erotismo è contenuto, ma si fa timidamente avanti nei meandri di una trama condita di psicanalisi e un pizzico di giallo. Le sequenze della seduzione messa in atto da Marilù Tolo (paragonata a Elizabeth Taylor dal critico Gian Luca Castoldi) nei confronti di Maurizio Degli Esposti sono grande cinema erotico che resta nell’immaginario dello spettatore, ma anche dei registi minori della commedia erotica. Torna il tema caro al regista della relazione tra una donna matura e un’adolescente, che diventerà un pilastro di molta commedia sexy di serie B.

   L’insuccesso dei film  successivi a Grazie zia convince Samperi a cambiare genere e ad abbandonare la tematica della contestazione sessantottina alla società contemporanea. Un’anguilla da trecento milioni (1971) è una commedia picaresca interpretata da Lino Toffolo, Ottavia Piccolo, Mario Adorf, Senta Berger, Rodolfo Baldini, Gabriele Ferzetti, Daniele Dublino e Ricky Gianco. Il film è scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Aldo Lado. L’erotismo è contenuto, così come gli elementi antiborghesi risultano sfumati, per orientare la scelta su un racconto innocuo e abbastanza divertente. Toffolo è il Bissa, un pescatore di frodo di anguille che tiene chiusa nel suo capanno la ricca e viziata Tina (Piccolo) convinto che sta facendo un favore al padre (Ferzetti), ma non sospetta di partecipare a un rapimento dalle conseguenze imprevedibili. Beati i ricchi (1972) è una nuova commedia commerciale, scritta e sceneggiata dal regista con la collaborazione di Aldo Lado e Sandro Continenza, interpretata da Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Sylva Koscina, Gigi Ballista, Eugene Walter, Olga Bisera, Enrica Bonaccorti, Neda Areneric, Piero Vida ed Enzo Robutti. Le musiche sono del Premio Oscar Luis Enriquez Bacalov, mentre la canzone Beati i ricchi è cantata da Ivano Fossati. Si narrano le gesta del contrabbandiere Geremia (Toffolo) e del cognato Augusto (Villaggio), un vigile urbano, che si trovano in mano due miliardi di lire. Sono soldi del sindaco (Walter) e di un industriale (Ballista) che dovevano essere esportati in Svizzera clandestinamente. La sceneggiatura si basa su questa sorta di comica caccia al tesoro perduto e il sale della commedia sono gli equivoci. Samperi abbandona la satira sociale e antiborghese per diluire il tutto in una commedia che colpisce fascisti di paese e mogli puttane. Gli attori sono ottimi: Paolo Villaggio è racchiuso nel personaggio di sempre, ma funziona, mentre Lino Toffolo è un interessante proletario chiacchierone. Sylva Koscina è sempre bella e alcuni suoi fugaci nudi possono far classificare il film come antesignano della commedia erotica. Resta nell’immaginario collettivo la scena durante la quale Toffolo è come ipnotizzato dalla visione del seno della Koscina in primo piano.

   Il film fondamentale per la carriera di Salvatore Samperi è Malizia (1973), interpretato da Laura Antonelli, che segna la nascita della commedia sexy. La pellicola è scritta dal regista che la sceneggia insieme a Ottavio Jemma e Alessandro Parenzo. Ottima la fotografia di Vittorio Storaro, scatenato nella lunga sequenza al buio con la torcia che vede protagonisti Momo e la Antonelli. Fred Bongusto compone la colonna sonora e un tema musicale che resta nella storia del cinema italiano. Interpreti: Laura Antonelli, Turi Ferro, Alessandro Momo, Angela Luce, Pino Caruso, Tina Aumont, Lilla Brignone, Gianluigi Chirizzi e Stefano Amato.

   La pellicola è ambientata nella Sicilia del 1950, ad Acireale, e descrive l’ascesa sociale di una cameriera che usa il suo fascino per diventare una signora altolocata. Laura Antonelli diventa un sex symbol nei panni di Angela, giovane cameriera che finisce a servizio di una famiglia composta da un ricco vedovo siciliano (Turi Ferro) e tre figli maschi. Tutti la spiano e la corteggiano, e lei diventa una presenza fondamentale, contesa dagli uomini che vivono nella casa. La malizia del film sta nel fatto che la donna è consapevole di certe attenzioni maschili che provoca esibendosi in conturbanti spogliarelli. Alla fine la cameriera sposerà il vecchio riccone ma si concederà la notte prima delle nozze al figlio quattordicenne (lo sfortunato Alessandro Momo che morirà giovanissimo). Il film è il capostipite di tutte le malizie all’italiana che verranno ed è il primo di una lunga serie di sexy commedie a base di docce nude, reggicalze ammiccanti e voyeurismo spicciolo. Con Malizia per la prima volta si vedono scene di adolescenti che spiano dal buco della serratura: il film è un vero capolavoro di erotismo soffuso e malizioso. Laura Antonelli è l’interprete di una pellicola fondamentale nel genere che la lancia verso un insperato successo. Il film incassa molto (cinque miliardi e mezzo), fa grande scalpore e manda avanti il sottogenere dei peccati in famiglia – inaugurato da Grazie zia – che fa proliferare una serie infinita di nipoti, adolescenti, cameriere e servette in calore che se la fanno con vecchi ricconi e mettono in crisi adolescenti inquieti. Laura Antonelli che sale una scala per spolverare e mostra splendide gambe fasciate da calze nere fermate da una giarrettiera, resta un simbolo dell’erotismo anni Settanta, raccontato al cinema da femmine seducenti e maschi inevitabilmente voyeur. Ma pure l’immagine di lei seduta sul letto che si sfila le calze nere è un’altra sequenza che con il passare del tempo non perde la sua carica erotica. Per finire ricordiamo Alessandro Momo armato di torcia che insegue Laura Antonelli illuminando seno e cosce in una frenetica caccia a scopo sessuale. Malizia è un film che contiene tutto il gusto del peccato e una forte carica di sensualità morbosa, ma non scade mai nel cattivo gusto e la sua forza sta proprio in quel vedere-non vedere che Samperi mette in scena con bravura. Laura Antonelli che si abbandona al voyeurismo degli uomini è l’attrice che si lascia spiare dal pubblico in sala, la donna dei sogni di chi osserva protetto dalla certezza di non essere visto. Caustico il giudizio di Paolo Mereghetti (due stelle) nel famoso Dizionario: “Samperi mette da parte la satira e si adagia nel macchiettismo, anche se è abile nel descrivere nostalgicamente un mondo perduto. Per gli standard odierni il film è addirittura casto (in tv passa tagliato) e la Antonelli si spoglia solo dopo 70’”.

   Salvatore Samperi vuole ancora con sé l’affascinante Laura Antonelli insieme ad Alessandro Momo per ricostruire la coppia vincente di Malizia. Il nuovo film è Peccato veniale (1974) e fa registrare un nuovo successo di pubblico, pure se risulta più debole del precedente. La pellicola è scritta e sceneggiata dal regista con la collaborazione di Ottavio Jenna e di Alessandro Parenzo. Il cast è di tutto rispetto: Laura Antonelli, Alessandro Momo, Monica Guerritore, Massimo Vanni, Lino Banfi, Orazio Orlando, Lino Toffolo, Lilla Brignone, Ria De Simone, Dominique Boschero, Fred Bongusto e Tino Carraro. Ottima ancora una volta la colonna sonora di Fred Bongusto che interpreta se stesso come cantante di night. Il film è ambientato a Forte dei Marmi, nell’estate del 1956, e racconta l’iniziazione sessuale di un imbranato sedicenne, innamorato di una provocante cognata. Orazio Orlando è l’incauto marito di Laura Antonelli che affida la bella moglie nelle mani di un fratellino adolescente, prima turbato dalle grazie femminili della cognata e poi sempre più intraprendente. La donna in un primo tempo tratta il sedicenne come un bambino, ma poi si lascia sedurre, fino a concedersi nella cabina al mare dove lui si è rifugiato in preda allo sconforto. Samperi calca la mano sul grottesco immortalando il marito cornuto in un brindisi finale alla perduta verginità del fratello minore. Non sa che è stata proprio sua moglie a fare da nave scuola. In ogni caso merita le corna perché è un personaggio gretto e sciocco, che arriva a tradire la moglie con una vecchia amante (Boschero) solo per vigliaccheria. Il tema dell’attrazione sessuale tra una donna adulta e un ragazzino torna prepotente nella filmografia di Samperi, condizionata da uno stereotipo che farà scuola. La situazione erotica di base ideata da Samperi verrà riprodotta in numerosi film che adatteranno l’idea originale a situazioni diverse. Si pensi a cose come La cognatina (1975) di Sergio Bergonzoni con Karin Well, ma l’elenco delle imitazioni è interminabile. Laura Antonelli è la prima attrice del cinema erotico italiano e la sua immagine di donna bellissima e provocante resta indelebile nell’immaginario collettivo grazie a questi due film di Samperi. Peccato veniale mette in scena situazioni già viste nel film precedente, ma è sempre un prodotto di livello medio alto, di sicuro superiore alle pellicole che lo imiteranno. Debutta nel cinema una giovanissima Monica Guerritore (fidanzata del ragazzino), destinata negli anni Ottanta a ricoprire ruoli interessanti in alcune pellicole softcore. La pellicola delude perché non ci sono molte sequenze erotiche e Laura Antonelli compare in vesti castigate. Tutto va intuito, ma Samperi anticipa persino le moderne commedia balneari dei fratelli Vanzina, mettendo in scena un film corale composto da una vera e propria galleria di tipi umani. Abbiamo il conte cornuto (Lino Banfi) che raconta solo barzellette, la ragazza pelosa (Ria De Simone) e il bagnino veneto (Lino Toffolo) che agiscono secondo una sceneggiatura che vede il sesso come filo conduttore. Si vede solo un seno nudo in tutto il film ed è quello di Ria De Simone, ma Laura Antoneli è protagonista di molte situazioni maliziose. Basti ricordare le sequenze durante le quali si splama le gambe di crema solare davanti al cognato e rivaleggia in seduzione con la bellissima Fiona Florence (moglie del cornuto Banfi). Altri momenti sexy sono le palapate di sedere di Orazio Orlando a ogni saluto, il ragazzo che osserva la cognata in spiaggia nascosto dietro a un fumetto per non mostrare una prepotente erezione, la crema spalmata sul corpo e il seno nudo sul pattino (ma non si vede), il cambio di costume in cabina, la lotta erotica con il ragazzino sul letto, il voyeurismo dalla porta di camera e infine il rapporrto sessuale soltanto intuito. Il film è intriso di malizia, non mostra molto, lascia grande spazio all’immaginazione, ma non per questo è meno erotico. Ottimi anche gli attori più anziani (Lilla Brignone e Tino Carraro), nel ruolo dei genitori del marito cornuto, ben calati nella parte e piuttosto divertenti. Alessandro Momo è bravo come sempre, pur giovanissimo e di bassa provenienza artistica, visto che si è fatto le ossa con i fotoromanzi. Ha soltanto diciotto anni, ma nel 1974 si registra la sua tragica scomparsa, avvenuta per un tragico incidente di moto, subito dopo aver interpretato Profumo di donna di Dino Risi.

   Dopo Malizia e Peccato veniale, Salvatore Samperi gira La sbandata (1974), ma deve comparire soltanto come supervisore – sceneggiatore, quindi fa firmare la pellicola al suo aiuto, il documentarista Alfredo Malfatti, che risulta autore in carriera di un solo film a soggetto. Eleonora Giorgi, su Nocturno, afferma: “Il film fu diretto da Samperi. Alfredo Malfatti era il suo aiuto regista che però era costretto a firmare il film, perché Samperi era sotto contratto con Clementelli-Cinélite, mentre questo era un film Lombardo-Titanus”. Grande cast con un protagonista esuberante come Domenico Modugno che firma anche un’ottima colonna sonora, ben coadiuvato da Pippo Franco. I due interpreti principali sono calati nella parte di due fratelli siciliani, il primo ha fatto fortuna lavorando sodo negli Stati Uniti come calzolaio, il secondo è un pastore zotico di Acireale che non ha neppure il bagno in casa. Ottimo il cast femminile, dalla giovanissima Eleonora Giorgi – 21 anni, come il personaggio di Mariuccia, la nipotina che affascina lo zio – alla più matura (ma non troppo) Luciana Paluzzi (cognata altrettanto sensuale). Samperi e Jemma sceneggiano il romanzo Il volantino di Pietro Buttitta, perfettamente nelle corde di un autore che aveva girato simili storie morbose (Grazie zia, Malizia…), lo stesso Samperi produce e presenta l’opera nei titoli di testa, come garanzia di qualità, vista la notorietà raggiunta. I temi del regista ci sono tutti, diametralmente opposti a Grazie zia ma in parte ricordano Malizia, perché l’attrazione sessuale è tra un maturo emigrato che torna a casa e una giovanissima nipote. La trama vede la famiglia del fratello ordire una tresca ai danni del ricco zio d’America per farsi comprare una casa più grande e convincerlo a regalare una dote alla figlia, promessa sposa a un meschino politico locale. Alla fine è proprio lo zio ad avere la meglio, si vendica del fratello e fa cornuto anche il politico, finendo per godersi le grazie sia della nipote che della cognata. Eleonora Giorgi è bella e provocante, risveglia fremiti erotici nel protagonista e scatena il voyeurismo del pubblico. Commedia sexy condita di elementi morbosi e di un’atmosfera incestuosa, resa meno torbida dal tono comico. Film che comincia con alcune sequenze girate a New York per immortalare la partenza di Salvatore (Modugno), quindi l’azione si sposta ad Acireale, Taormina (Messina) e a Sant’Alfio (Catania), con molti interni teatrali, ma anche con una bella fotografia sicula curata da Di Giacomo. Tecnica di regia sopraffina, Samperi è un maestro della seduzione erotica, gira con eleganza sequenze che in mano ad altri cadrebbero nel torbido. Eleonora Giorgi è filmata con ben altra classe rispetto al coevo Appassionata (1974) di Gianluigi Calderone, un morboso dramma erotico che la vede protagonista insieme a Ornella Muti. Flashback onirici ci mostrano la seduzione erotica che la ragazzina produce nel maturo zio, la macchina da presa cattura immagini di gambe femminili, corpi intravisti da porte socchiuse e distesi su letti disfatti. L’erotismo c’è tutto, ma il regista sa quando è il momento di sfumare nel comico e nel farsesco. Ben rappresentata la Sicilia tra profumo di zagara in fiore e musica in sottofondo a base di scacciapensieri. Forse troppo insistente la voce fuori campo che ci racconta a ogni sequenza i pensieri di Modugno e accompagna i suoi turbamenti erotici. Finale in piena bagarre durante il matrimonio tra Mariuccia e il politico che ci ricorda il tono da pochade di tutta la pellicola. Nella colonna sonora compare anche Fatti mandare dalla mamma, cantata da Gianni Morandi.

   Scandalo (1976) torna a una tematica erotica intensa di impostazione melodrammatica ed è ancora un film scritto dal regista con la collaborazione di Ottavio Jemma. La fotografia è di Vittorio Storaro, mentre le musiche suadenti sono di Riz Ortolani. Interpreti: Lisa Gastoni, Franco Nero, Claudia Marsani, Raymond Pellegrin, Andréa Ferréol, Antonio Altoviti e Carla Calò. Siamo nella provincia francese durante la seconda guerra mondiale (1940), alla vigilia dell’invasione tedesca. Franco Nero è Armand, un imboscato che fa il garzone in una farmacia e seduce la bella e matura proprietaria Eliane (Gastoni), sposata con un marito freddo e distante, trascinandola in un rapporto umiliante, da vera e propria schiava d’amore. Alla fine Armand si invaghisce della figlia adolescente Justine (Marsani) e la chiede in sposa alla madre che fino a poco prima era stata sua amante. Tornano vecchi temi del regista: il sadomasochismo alla Grazie zia, l’amore tra una donna matura e un giovane, il rapporto con un’adolescente. Resta un lavoro non convincente, anche per un’incomprensibile ambientazione francese. Samperi continua nel suo lavoro di demolizione dei valori borghesi, un nuovo atto di accusa nei confronti della famiglia come istituzione, caratterizzato da uno stile fatto di sensualità morbosa. Stupenda Lisa Gastoni in numerose sequenze erotiche, immortalata mentre cammina nuda per strada, umiliata da un amore impossibile e distruttivo. Scandalo è un dramma sentimentale che indaga sull’autodistruzione di una donna che per amore scende tutti i gradini dell’umiliazione, compiendo arditi giochi erotici davanti alla figlia, alla cassiera della farmacia e a un intero paese. 

   Salvatore Samperi si dedica a una digressione fumettistica che sembra del tutto fuori dalle sue corde e che esula dal nostro lavoro. Citiamo per dovere di completezza Sturmtruppen (1976) e Sturmtruppen 2 – Tutti al fronte (1982). Il primo film riscuote un grande successo di pubblico, vuoi per la popolarità del fumetto – uscito anche in televisione nel programma serale Gulp -, vuoi per gli attori molto popolari. Samperi costruisce un collage di situazioni comiche partendo dalla strisca di Bonvi ma inventa anche personaggi e allegorie di tipo antimilitarista. Tra gli interpreti troviamo Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni (raramente insieme al cinema, ma in questo caso sono anche sceneggiatori), Lino Toffolo, Teo Teocoli, Felice Andreasi e Massimo Boldi. Un minimo di erotismo è garantito dalla presenza di Corinne Cléry, la diva trasgressiva lanciata dal morboso Histoire d’O (1975) di Just Jaeckin. Tra le cose migliori citiamo la colonna sonora composta da Enzo Jannacci e il grande successo della canzone Sturmtruppen, cantata da Cochi e Renato. Samperi fa il bis nel 1982 con Sturmtruppen 2 – Tutti al fronte, dotato di un cast simile, integrato da Giorgio Porcaro, Enzo Cannavale, Bombolo, Franco Oppini e Leo Gulotta. L’erotismo è ai minimi sindacali nelle mani di Serena Grandi e Ramona Dell’Abate. Pessimo barzelletta – movie sceneggiato da Bonvi, il creatore della striscia. 

   Nené (1977) rappresenta un ritorno all’erotismo e ai temi cari a  Samperi. Il film è interpretato da Sven Valsecchi, Eleonora Fani, Tino Schirinzi, Ugo Tognazzi, Rita Savagnone, Paola Senatore, Alberto Cancemi e Vittoria Valsecchi. Samperi sceneggia con la collaborazione di Alessandro Parenzo un romanzo di Cesare Lanza, mentre la fotografia è di Pasqualino De Santis e le musiche originali sono di Fancesco Guccini. Si tratta di una commedia erotica malinconica e crepuscolare, ambientata in un imprecisato ambiente lacustre padano, che a tratti sfocia nel melodramma e rischia di cadere nel morboso. Sven Valsecchi è bravo nei panni di Ju, un bambino di otto anni molto intelligente che batte a scacchi il padre, apprende il poker, diventa amico di un ragazzo più grande e compie le prime esperienze amorose con la cugina. Ju non vede l’ora di diventare grande, spia le grazie della procace maestra (Rita Savagnone) e quando arriva la cugina non riesce a toglierle gli occhi di dosso. Eleonora Fani (Eleonora Cristofani) è Nené, la quindicenne protagonista femminile, nel ruolo della vita dopo una serie di film minori e finalmente guidata da un maestro del cinema erotico. Ha ventitré anni, ma vestita da collegiale, con calzettoni, mutandoni e gonna lunga sembra proprio una bambina. La forza di Eleonora Fani è proprio nel contrasto tra la dolcezza del viso, i lineamenti quasi infantili, e le sequenze peccaminose che deve interpretare. Nel film di Samperi è la classica adolescente in calore che sconvolge il cugino e alla fine si innamora di un ragazzo più grande. Samperi riesce a trasmettere tutte le incertezze e i turbamenti di una ragazzina che sta diventando donna e comincia a scoprire il sesso. Al tempo stesso realizza una cornice d’epoca eccellente, inquadrando gli eventi nella provincia italiana del 1948, alla vigilia della consultazione elettorale che consegnerà la nazione alla Democrazia Cristiana. Ugo Tognazzi presta un volto da commedia grottesca alla caratterizzazione di un barbiere comunista che appende il ritratto di Stalin in negozio e spera nel cambiamento epocale. Nenè nello stesso giorno della sconfitta elettorale del blocco di sinistra scopre l’amore con un ragazzo più grande, ma viene sorpresa dallo zio e percossa selvaggiamente senza che il compagno faccia niente per difenderla. Il 18 aprile si trasforma in una data dolorosa per entrambi perché le illusioni sfioriscono, anche se il barbiere conserva la speranza di cambiare le cose continuando a lottare. La ragazza subisce una scenata di gelosia da parte del cuginetto che sente di aver perduto un amore platonico. Crollano anche le illusioni del bambino: non sogna più di diventare grande, perché ha capito che il mondo degli adulti porta solo sofferenza. Salvatore Samperi dipinge un quadro realistico dell’Italia del dopoguerra, ambienta la storia in una famiglia che vive in un casolare di campagna e sbarca il lunario grazie allo stipendio da impiegato del padre. Il menage familiare è caratterizzato dal classico padre padrone che picchia i figli e maltratta la moglie, ma mostra un rapporto di predilezione per il figlio più grande. L’ingresso in famiglia della cuginetta, rimasta sola per la morte della madre e la malattia del padre, sconvolge il modo di vivere. La ragazzina è già smaliziata e il cuginetto, che aveva avuto i primi turbamenti con la maestra, adesso rivolge a lei le sue attenzioni, spiandola mentre si veste e lasciandosi baciare. Alcune sequenze tra i due ragazzi sono molto spinte, soprattutto la masturbazione di Nené sotto le lenzuola e altre carezze proibite. Il gioco della seduzione morbosa e del lasciar intuire è l’arma vincente di un Samperi che non raggiunge esiti mirabili come in Malizia (1973), ma sa muovere le corde giuste. Tra gli attori di secondo piano ricordiamo Tino Schirinzi, uomo di teatro al debutto cinematografico, che interpreta un padre sadico e manesco, ma anche Paola Senatore, madre remissiva che accetta di farsi frustare in camera per compiacere sessualmente il suo uomo. La critica loda Samperi per aver limitato al massimo le situazioni pruriginose, ma va da sé che in tempi politicamente corretti come i nostri molte sequenze del film non si sarebbero potute girare. La pellicola è stata rivalutata nel tempo (due stelle e mezzo sul Dizionario di Paolo Mereghetti), ma quando uscì non riscosse un grande successo.

   Ernesto (1978) è un buon lavoro dedicato all’amore omosessuale che Samperi sceneggia con la collaborazione di Barbara Alberti e Amedeo Pagani, basandosi sul romanzo omonimo di Umberto Saba. La fotografia intensa e decadente che rievoca la Trieste dei primi anno del secolo passato è di Camillo Bazzoni. Gli interpreti sono Michele Placido, Martin Halm, Turi Ferro, Virna Lisi, Lara Wendel, Gisela Hahn, Stefano Madia, Concepsion Velasco Varona e Francisco Martiny Socias. Torna la tematica del regista con la descrizione di un rapporto amoroso tra un adolescente e una persona matura, ma la novità è che si tratta di un rapporto omosessuale. Siamo ai primi del Novecento e un ragazzo triestino di famiglia borghese (Halm) scopre la sua omosessualità latente dopo aver avuto un rapporto con un giovane facchino (Placido). Il ragazzo viene licenziato dal lavoro, studia violino e si fidanza con la sorella di un ricco amico ebreo. Michele Placido vince un premio al Festival di Berlino per la sua non facile interpretazione. Il romanzo di Umberto Saba è autobiografico e rievoca esperienze giovanili, ma Samperi riesce a portarlo sulla scena evitando di cadere in facili suggestioni voyeuristiche e maliziose.

   Liquirizia (1979) è considerato uno dei migliori film di Salvatore Samperi, ma al botteghino è un flop totale, al punto che nel contratto di Jenny Tamburi è prevista una percentuale sugli incassi ma la bella attrice romana non vede una lira. Scritto dal regista e sceneggiato con la collaborazione di Giorgio Basile e Gianfranco Manfredi. Le musiche sono di Ricki Gianco e dello stesso Manfredi. Gli interpreti principali sono Christian De Sica, Stefano Ruzzante, Massimo Anzelotti, Jenny Tamburi, Barbara Bouchet, Tino Schirinzi, Ricky Gianco, Eros Pagni, Enzo Cannavale, Teo Teocoli, Gigi Ballista, Gianfranco Manfredi, Annalisa De Simone e Giancarlo Magalli. Siamo nel 1959. Il filo conduttore del film è una sfida teatrale tra liceo e ragioneria in occasione della festa di fine anno. I ragionieri mandano sul palco un complesso rock che fa andare in visibilio il pubblico, mentre i liceali mettono in scena un pezzo di teatro esistenzialista che non convince nessuno. Samperi affronta il tema della vita in provincia e inneggia alla goliardia con un film travolgente e liberatorio, a tratti volgare ma acuto nel cinismo con cui analizza la realtà. Liquirizia è un film anarchico, cattivo, sopra le righe, dissacrante. Non convince il pubblico, purtroppo. Susanna Tamaro è assistente alla regia. Niente di erotico, in ogni caso, anche se il critico Morando Morandini lo definisce di cattivo gusto.

   Amore in prima classe (1979) è un film minore di Samperi, una commedia abbastanza modesta che si avvale della bella colonna sonora di Paolo Conte e Gianfranco Manfredi. Gli interpreti sono Enrico Montesano, Franca Valeri, Sylvia Kristel, Luc Merenda, Felice Andreasi, Gianfranco Manfredi e Christian De Sica. Montesano è un ragazzo padre che durante un viaggio in treno per andare in Calabria cerca di conquistare la disponibile paleontologa Sylvia Kristel, ma il figlio rovina tutto. La componente erotica è garantita dalla presenza della Kristel, nota al grande pubblico per il personaggio trasgressivo interpretato nella serie Emmanuelle (1973) di Just Jaeckin. Si ride abbastanza, soprattutto per merito di Montesano e della Valeri, mentre De Sica fa un cammeo come venditore ambulante in frac.

   Salvatore Samperi torna a dirigere un film erotico – malizioso come Casta e pura (1981), sceneggiato da Ottavio Jenna, Bruno Di Geronimo e José Luis Martínez Mollá. Interprete principale è una sensuale Laura Antonelli, ma nel cast troviamo anche Massimo Ranieri, Fernando Rey, Enzo Cannavale, Christian De Sica, Vincenzo Crocitti, Valeria Fabrizi, Elsa Vazzoler, Riccardo Billi, Diego Cappucio, Sergio Di Pinto, Adriana Giuffré e Jean-Marc Bory. Casta e pura è un ottimo film che cerca di ricreare le atmosfere erotiche di Malizia pur inserendole in un contesto diverso. Laura Antonelli è la bella e ingenua Rosa che davanti alla madre moribonda fa voto di non sposarsi per accudire il padre sino a quando vivrà. Rosa è la sola erede dei possedimenti terrieri di famiglia e se si sposasse suo padre resterebbe senza un soldo; solo per questo motivo l’avido genitore le strappa la promessa. Rosa cresce con l’idea fissa della verginità, del rimanere casta e pura e lavora in casa come se fosse la serva di tutti. Intorno a lei ci sono solo coppie di assatanati che fanno l’amore a più non posso e la mettono in crisi. Il fratello non fa altro che scopare con la futura moglie, Valeria Fabrizi è un’amica di famiglia piuttosto puttana che se la fa con il figliastro (un ottimo De Pinto), Christian De Sica allunga le mani un po’ con tutte e ci prova anche con lei. Rosa sente i pruriti della carne, il prete Cannavale cerca di aiutarla e di convincere il padre a lasciarla libera, ma il vecchio egoista è irremovibile. La recitazione di Fernando Rey è notevole e ci consegna l’interpretazione di un perfido genitore che non pensa al futuro della figlia ma solo a se stesso. Le parti erotiche mostrano una Laura Antonelli al massimo della forma, che con la sua carica di ingenuità maliziosa si lascia andare a masturbazioni e numeri di striptease calati tra sogno e realtà. Laura Antonelli recita molto bene la parte della ragazzina ingenua tutta casa e chiesa che si lascia irretire dal cugino Massimo Ranieri e vorrebbe andare a letto con lui. Ricordiamo sensuali sogni erotici, guanciali scambiati per un diavolo che si inserisce tra le gambe della bella attrice e incontri notturni con il cugino. Alcune sequenze erotiche tra la Antonelli e Ranieri ricordano le scene conclusive di Malizia, soprattutto il trucco della lampada accesa sul corpo di Laura. Samperi ci sa fare con l’erotismo, indugia sui particolari delle gambe, sulle calze, sulle giarrettiere e a un certo punto inserisce pure il trucco del flash fotografico che mette in primo piano le bellezze dell’attrice. Il tono da commedia si modifica in dramma quando il padre organizza una violenza di gruppo ai danni della figlia per disonorarla. Massimo Ranieri dà il via alle danze e quindi tutti approfittano di Rosa distesa su un tavolaccio di legno. La violenza subita fa rinsavire la donna che si vendica: blocca il conto al padre, lo caccia di casa insieme al fratello e alla moglie, ridicolizza gli altri violentatori e infine parte per gli Stati Uniti. Lascia a casa pure Massimo Ranieri che diceva di amarla ma non si era comportato meglio degli altri vendendola per denaro. Un ottimo film che inserisce in una solida struttura narrativa parti erotiche ben fatte e che gode della partecipazione di un cast di ottimi attori. Il film non piace alla critica più impegnata, che vede in Casta e pura i primi segni della decadenza di Samperi, ma per un appassionato di commedia sexy si tratta di un film imperdibile.

   A nostro giudizio la parabola decadente del regista comincia con Vai alla grande (1984), una sorta di Sapore di mare (1983) di Carlo Vanzina in tono minore, interpretato da Lara Wendel, Massimo Ciavarro, Danilo Mattei, Diego Cappuccio, Angelo Cannavacciuolo, Fabrizio Temperini, Pippo Santonastaso e Dino Sarti. La pellicola è ambientata sul Mar Adriatico, il clima è quello delle commedie balneari, tra ragazzi in vacanza che pensano ad andare in barca a vele e a concupire ragazze. L’elemento erotico è costituito dalla bella Lara Wendel, contesa da tutti i ragazzi della spiaggia, che alla fine si concede al più povero del gruppo. Naturalmente il bello della situazione è Massimo Ciavarro.   

   Fotografando Patrizia (1984) è un modesto erotico – patinato con protagonista Monica Guerritore, in grande spolvero come nuovo sex symbol degli anni Ottanta. Gli altri interpreti sono Lorenzo Lena, Gianfranco Manfredi, Gilla Novak e Saverio Vallone. Il voyeurismo la fa da padrone, ma soprattutto la noia, in un film che racconta il torbido rapporto incestuoso tra una donna di successo (Guerritore) e il fratello minore (Lena), introverso, ipocondriaco e amante della pornografia. Ritroviamo la vecchia tematica di Samperi che mette in primo piano il rapporto tra donna matura e adolescente, condito da morbosità e voyeurismo, ma siamo ben lontani da esiti stile Grazie zia e Scandalo. La sceneggiatura è del regista, con la collaborazione di Riccardo Ghione e di Edith Bruck, ma non coglie nel segno e spreca un’ambientazione suggestiva ricorrendo a citazioni letterarie inutili e infarcendo la pellicola di pessimi dialoghi. Monica Guerritore è molto brava, ma la storia non consente evoluzioni di sorta. Samperi continua la sua critica alla famiglia come istituzione moribonda con un rapporto torbido tra fratello e sorella che si spinge sempre fino alla relazione extraconiugale incestuosa. Samperi tenta un’operazione simile a quella compiuta da Brass con Stefania Sandrelli, ma si tratta di due bellezze diverse, difficilmente paragonabili nel quadro del nostro cinema erotico.

   La bonne (1985) è un nuovo film erotico – morboso che Samperi sceneggia partendo da un testo teatrale di Jean Genet. La protagonista femminile è la bellissima attrice francese Florence Guerin, ma non è da meno una conturbante Katrine Michelsen. Gli altri interpreti sono Cyrus Elias, Ida Eccher, Lorenzo Lena, Eva Grimaldi e Antonella Ponziani. Musiche intense e suadenti di Riz Ortolani. Fotografia anticata e romantica di una Vicenza palladiana resa viva da Camillo Bazzoni. Siamo nel 1956, durante l’invasione sovietica dell’Ungheria, nella campagna vicentina, dove una moglie in crisi (Guerin), sposata con un consigliere comunale comunista, viene coinvolta dalla cameriera (Michelsen) in un rapporto sempre più morboso. La coppia vive un momento difficile per l’impossibilità di avere figli, ma soprattutto per la freddezza e il distacco del marito. Tra le due donne si instaura una confidenza erotica che supera le differenze sociali e la contadina veneta porta la ricca padrone sulla pericolosa strada di una relazione lesbica. Non solo. La padrona di casa comincia a masturbarsi e a scoprire il proprio corpo, fino a quando una sera si trova a far l’amore con la cameriera e con un compagno occasionale che la ragazza ha fatto entrare in casa. Accade una cosa imprevista: l’uomo vuole violentare la serva e la padrona lo aiuta, immobilizzandola. La ragazza resta incinta e deve abbandonare la casa. Nel finale vediamo una nuova serva presentarsi alla porta della villa. Il gioco continua. Niente più che un film voyeuristico per raccontare le pruderie della provincia italiana, ma Samperi ci mette tutto il suo stile trasgressivo.  

   Malizia 2000 (1991) è un film triste e inutile che rappresenta il doppio canto del cigno sia per Salvatore Samperi che per Laura Antonelli. La pellicola non ripete il successo del film simbolo ma soprattutto segna l’amara uscita di scena dell’attrice, provocata dalle conseguenze di inadatte cure cosmetiche. Laura Antonelli viene sottoposta a una serie di iniezioni di siero antirughe per renderla attraente e giovanile, adatta al ruolo sexy che la sceneggiatura le impone. Purtroppo le iniezioni le deturpano il volto, la faccia gonfia mostruosamente, le foto del disastro fisico fanno il giro del mondo e contribuiscono al flop della pellicola. Laura Antonelli chiede tre miliardi di danni alla produzione che non si prende nessuna responsabilità. Triste uscita di scena per un’attrice simbolo del cinema erotico italiano che si congeda dal suo pubblico con un film da dimenticare. Accanto a lei troviamo Turi Ferro, Roberto Alpi, Luca Ceccarelli e Barbara Scoppa. Laura Antonelli è ancora Angela, adesso ex cameriera, moglie trascurata e sfiorita di Turi Ferro, che prova una nuova passione per il giovane figlio di un archeologo. Torna il tema samperiano della relazione tra una donna matura e un ragazzino, ma il tutto è trattato in una salsa comica davvero indigesta. Alla fine Angelina trascura il ragazzo e finisce nel letto del padre che contendeva al figlio le grazie della piacente padrona di casa. Poco erotismo e di tanta carne al fuoco resta soltanto un senso in penombra di una Laura Antonelli in declino, come il suo regista. Il film è brutto, mal recitato e per niente erotico, costellato di pessimi e improbabili dialoghi, di situazioni grottesche e paradossali che ne fanno solo un’icona del trash. Peccato.

    Il flop di Malizia 2000 convince Samperi ad abbandonare il cinemae a dedicarsi ad alcuni lavori televisivi: Dov’eri quella notte (1992), Madame (2004), L’onore e il rispetto (2006 – 2009) e Il sangue e la rosa (2008), girato insieme a Luciano Odorisio e Luigi Parisi. Negli ultimi anni della sua vita, Samperi progettava un rientro sul grande schermo con una coproduzione italo-argentina: Estrenando sueños, rimasta non realizzata.  

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