Il 2 agosto 1216 si celebra il cosiddetto «Perdono di Assisi». Il Poverello d’Assisi quel giorno, pieno di serafico afflato mistico, esclama: «Io vi voglio mandare tutti in Paradiso».
Una frase, potente, poetica, salvifica che ancora oggi risuona nella chiesetta della Porziuncola «custodita» all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli ma anche in tutte le chiese non solo francescane.
Quest’anno la festa del Perdono coincide con l’VIII centenario del Capitolo – detto – della Regola non bollata. Un Capitolo che segnava l’inizio dell’ultimo quinquennio della vita del santo.
Assisi – per dirla con il Sommo Poeta Dante Alighieri, in questo VII centenario dantesco– è la città dove nacque un «sole» (Paradiso, XI, vv.43-51):
Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov’ ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
L’amata figura di Francesco risplende nelle terzine dantesche, nei colori e nella geometria di Giotto. Un uomo, un cavaliere, un giullare dell’Altissimo bon Signore che eternizza un messaggio evangelico di fratellanza tra tutte le creature, tra l’Oriente e l’Occidente. La «forza», la «faconditàa» e tante altre qualità e virtù dell’infintamente piccolo Francesco possano essere un punto di forza in questo tempo di crisi umana e valoriale.