Nata a Siena, in una famiglia della piccola borghesia del XIV secolo – il padre era un tintore di panni, mentre il nonno paterno fu il poeta Puccio il Piacente – Caterina è passata alla storia per aver avuto una personalità molto particolare, a tratti veramente curiosa, e per essere stata una persona che ha influito prepotentemente nei fatti della Chiesa e nella politica italiana quando le donne, se non di sangue blu, non venivano neppure considerate. Venne canonizzata da papa Pio II a pochi anni dalla morte – avvenuta nel 1380 – mentre papa Paolo VI, nel 1970, la dichiara dottore della Chiesa per aver saputo dimostrare uno spiccato intelletto sulla dottrina e per aver avuto eccellenti doti spirituali.
Al di là del misticismo, che l’ha resa una donna veramente più unica che rara, con la sua personalità Caterina ha esercitato un’azione determinante sulla letteratura e sulla lingua italiana, infatti ci sono pervenuti molti suoi importantissimi scritti.
Le agiografie della Santa senese raccontano di una vita passata tra molte tribolazioni vivendo la Cristiformità: in 33 anni mangiò veramente molto poco e rimetteva spesso (si dice fosse anoressica); la sua breve ma intensa esistenza fu un continuo digiuno e dormiva scomodamente per terra pochissimo tempo ogni due giorni e, come se non bastasse, si flagellava continuamente. Appariva magrissima, ma mostrava una grande forza di volontà nel curare gli ammalati e i poveri. Una volta volle bere una miscela di pus e sangue che fuoriusciva dalla putrida ferita di un infermo, lo fece per amore di Cristo e disse che non aveva mai assaporato una bevanda così dolce e squisita. I suoi agiografi vollero tramandare ai posteri una Caterina analfabeta perché a quell’epoca l’istruzione era vietata alle donne. Secondo gli stessi tutto ciò che noi oggi leggiamo di Caterina veniva dettato dalla Santa ai suoi discepoli e il valore linguistico e letterario dei suoi scritti veniva per ispirazione divina quando viveva estasi mistiche molto profonde. In realtà Caterina scrisse moltissime cose di suo pugno – non in latino, lingua adottata dalla Chiesa, ma in volgare senese – e la sua Opera è frutto di una intelligenza estremamente acuta e di una cultura molto vasta anche se, a tutt’oggi, non sappiamo da dove provenisse realmente questa sua sapienza dal momento che siamo certi che non andò a scuola, né ebbe precettori privati. Qualcuno azzarda l’ipotesi che conoscesse bene la filosofia agostiniana, mentre qualcun altro pensa che Caterina preferiva dettare i suoi pensieri, nonostante sapesse leggere e scrivere, forse perché sapeva benissimo che mettendo nero su bianco avrebbe racchiuso il concetto espresso oralmente, che non conosce confini, nella gabbia della scrittura che è comunque limitata.
Tommaso Caffarini – uno dei suoi primi confidenti e biografi – ci ha riferito di come lei prendesse il calamo, lo intingesse in un vasetto di cinabro – sostanza di colore rosso brillante – e di come scrivesse di botto su pergamena i suoi pensieri in perfetta calligrafia: “Sangue, sangue” furono le ultime parole di Caterina da Siena, prima di raggiungere il suo Sposo, volendo soddisfare questo suo immenso desiderio di scrittura anche in punto di morte, come scrive nel prologo del suo “Dialogo della Divina provvidenza”, che rappresenta un colloquio tra Dio e l’anima umana circa la Trinità e l’incarnazione divina: “Ansietata di grandissimo desiderio… Abituata e abitata nella cella del cognoscimento di sé”. Evidentemente Caterina pensava che conoscere sé stessi fosse il principio attraverso il quale l’essere umano riconosce proprio dentro di sé la natura divina e sa porre la propria esistenza materiale in una dimensione del tutto spirituale – vera realtà – in cui non esistono limiti di tempo e di spazio, a dispetto del mondo reale che è semplicemente una pura illusione.
D’altra parte il “Dialogo” abbonda di figure retoriche, come le metafore, e nelle sezioni più importanti troviamo assonanze e allitterazioni soprattutto in p/v (Sappi… quando verrà il Verbo… con la divina mia maestà a riprendere il mondo con la potenzia divina, egli non verrà come poverello, sì come quando egli nacque, venendo nel ventre della Vergine…); in p/r (Non verrà così ora in questo ultimo punto, ma verrà con potenzia a riprendere egli con la propria persona e non sarà alcuna creatura che non riceva tremore, e renderà…); in v/p (Ma questo vasello debba essere pieno, cioè portandole… con vera pazienzia, portando e sopportando i difetti del prossimo vostro…); in t (E questo facesti tu, Trinità eterna, che l’uomo partecipasse tutto te, alter ed eterna Trinità….).
Maestra innamorata del Maestro, profetessa, scrittrice, intellettuale, Caterina da Siena, dunque, è stata una donna intrappolata in un tempo veramente molto stretto che non permetteva al gentil sesso di varcare la soglia della conoscenza, lasciando le donne abbandonate nel mare dell’ignoranza. Oggi Caterina viene presa spesso come simbolo di femminismo, anche se lei femminista non era, come ci dice il professor Andrés Vauchez, medievista francese specializzato in storia della spiritualità cristiana: “Lei avrebbe voluto essere un uomo, lo dice spesso: – Non ho potuto predicare, non ho potuto celebrare messa. Avrei voluto essere un uomo per poter farlo”, dice il suddetto professore citando le parole della Santa e, con questo, vuole farci capire che Caterina, in qualità di donna, pensava di essere comunque inferiore agli uomini. Eppure Santa Caterina da Siena è la donna, la prima italiana in assoluto, che ha scritto molte pagine in volgare di pugno suo. Oltre al “Dialogo”, dove troviamo espresso il suo pensiero teologico con immensa maestria, tanto che gli studiosi che si occupano di lei parlano del cosiddetto “stile cateriniano”, Caterina scrisse – o dettava con estrema velocità, senza confondersi, anche due o tre per volta – 381 lettere indirizzate a papi, ecclesiastici, regnanti, parenti, amici, criminali, popolani; 22 orazioni; 25 elevazioni e altro. La sua piccolissima cella si riempiva sempre di personalità di spicco – cardinali, vescovi, dotti, artisti, popolani – tutti volevano dialogare con quella donna così minuta, ma così colta che riusciva con la sua retorica a dare messaggi forti, vigorosi, autorevoli, espliciti, emotivi, imperativi e teneri allo stesso tempo; era dotata di un tale strategico linguaggio che toccava la coscienza di chi la ascoltava o la leggeva.
Santa Caterina da Siena, una donna tutt’altro che illetterata, nata a pochi anni di distanza dalla morte di Dante e dalla nascita di Petrarca e di Boccaccio, ha contribuito al lustro della letteratura italiana donandoci testi che sono oggetto di studio linguistico e letterario; eppure non c’erano cattedre nella sua cella e preferiva dormire per terra.