Saremo “Capaci” di risorgere?

Articolo di Massimo Rossi

Eravamo a Roma. Eravamo giovani laureati in legge. Eravamo all’hotel Erfige, vicino a Piazzale Clodio. Era il 1992 ed avevamo un sogno: diventare magistrati. Eravamo tanti e ci avevano dispersi in più sale. L’Hotel Erfige era un luogo adatto per i grandi concorsi pubblici. Io avevo preparato l’esame seguendo la “scuola” di Galgano a Bologna ed avevo nel cuore l’idea di fare il magistrato.

Mi spaventava fare il giudice, ma avrei fatto molto volentieri il pubblico ministero.
I tre giorni passarono tra alti e bassi di stati d’animo e la nostra preparazione tecnica fu messa a dura prova dalle tracce di civile, di amministrativo e di penale. Lei la ricordo benissimo. In particolare, il terzo giorno delle prove. Era vestita di bianco e si portava tra i banchi mai severa e sempre sorridente. Lei era la Dott.ssa Francesca Laura Morvillo. Un giudice componente della commissione d’esame e compagna del dott. Giovanni Falcone (una icona già in vita). Era l’ultimo giorno delle prove. Quello in cui la difficoltà fa paura di più perché c’è la stanchezza, anche se si intravede la fine: la luce in fondo al tunnel. Ho fatto questi pensieri il giorno dopo. Quando tornai nella mia Siena ed ad un certo punto l’autista del pullman chiese il silenzio.

La radio stava trasmettendo una notizia terribile: un attentato a Palermo, nel quale era rimasto coinvolto il Giudice Giovanni Falcone. Le notizie erano frammentarie. Non si comprendeva quale sorte fosse toccata all’alto magistrato da qualche tempo a Roma al Ministero e quale sorte fosse toccata alla sua scorta. Nessuno per ora parlava di lei. Nessuno parlava di quella donna altera e gentile che avevo intravisto tra i banchi dell’Erfige. Lei, per qualche mistero, era come scomparsa. La notizia aveva fatto il giro del mondo in pochi minuti (anche se non c’era internet) perché Giovanni Falcone non era solo un grande magistrato, ma era il magistrato italiano più famoso nel mondo.

Era colui che dal suo bunker vicinissimo all’aula di udienza del più grande processo di Mafia, aveva combattuto e sconfitto la Mafia. Ma era quello che, dopo il sigillo della Suprema Corte di Cassazione che consegnò alle patrie galere mafiosi di altissimo livello della Cupola, aveva intuito che la Mafia si sarebbe evoluta. La Mafia stragista e violenta avrebbe lasciato il posto alla Mafia economica e dei c.d. “colletti bianchi”. Ma torniamo a lei. Giovanni Falcono e Francesca Laura Morvillo erano una coppia nella vita. Lui andò a prenderla all’aeroporto con la scorta, come avrebbe fatto un qualsiasi marito o compagno.

Lui era Giovanni Falcone, ma da qualche tempo stata vivendo una vita più “agile” e più esposta rispetto a prima. Non credo si sentisse sicuro, ma credo che non pensasse che dentro lo Stato qualcuno lo potesse tradire. La strage di Capaci per organizzazione, per spettacolarità e per i personaggi che abbiamo poi appurato essere gli autori, i fiancheggiatori e gli agevolatori, non poteva essere organizzata senza conoscere i minimi movimenti del dott. Giovanni Falcone (e non solo di quel giorno). La strage vide il ruggito della Mafia sconfitta ed aprì la strada a quella Mafia che ancora oggi popola i palazzi da Milano a Palermo e va anche oltre i confini nazionali.

La Mafia è, purtroppo, diventata quello che Giovanni Falcone temeva: uno Stato nello Stato. Una entità economica e politica che, a vari livelli, inquina il vivere civile e sociale. Il virus che utilizza la Mafia, adesso, per impossessarsi dei patrimoni leciti è il denaro, il denaro “sporco” della droga e di altri crimini; per dirla con S. Agostino, utilizza “lo sterco del demonio”. Giovanni Falcone lo sapeva bene che questa era la nuova frontiera e lo sapeva da prima di intraprendere il suo lavoro di giudice istruttore (vigeva il codice Rocco), lo sapeva da quando egli era giudice delegato ai fallimenti a Palermo.

I “piccioli” sono la chiave del potere ed i “piccioli” si fanno strozzando le attività economiche sane, così inquinando il sistema al punto che le attività finiscono per confondersi. Questa è la lotta che altri valenti magistrati hanno fatto e stanno facendo in silenzio e con le capacità che lo Stato mette loro a disposizione. Ma Giovanni Falcone è stato – e dobbiamo ricordarlo sempre – anche, fortemente, osteggiato dai suoi stessi colleghi e dal CSM. L’organo di autogoverno dei magistrati, in queste ore sotto il ciclone Palamara-Amara (ed altro), impedì a Giovanni Falcone – seguendo logiche astruse e non aderenti alle realtà – di diventare il primo Procuratore Nazionale Antimafia.

Una scelta disgraziata che farà di Giovanni Falcone una vittima della Mafia ed una vittima dello Stato. Quello Stato a cui lui aveva dato la vita, ma non il 23.5.1992, ma tutta la sua vita professionale e non solo. E con lui hanno dato la vita tanti altri magistrati, avvocati, giornalisti e diversi professionisti che hanno messo al primo posto la verità, la giustizia e la dignità di persone. Tutto questo deve fare riflettere proprio adesso e l’occasione di ricordare Giovanni Falcone e Francesca Laura Morvillo e gli agenti della scorta (tutti) non deve essere mera retorica. Solo gli ideali ed i valori possono portarci fuori dalla disaffezione che è maturata tra popolazione e magistratura.

Le paludi in cui Palamara & C. hanno portato la magistratura devono essere bonificate anche con radiazioni ed espulsioni dalla magistratura stessa. L’alternativa sarebbe continuare ad infettare il corpo sano della Giustizia ed offendere i tantissimi magistrati onesti, liberi, indipendenti e laboriosi che ci sono e servono lo Stato. Quella figura tra i banchi dell’Erfige ci guarda da lassù ed insieme al suo Giovanni ci indica l’unica strada percorribile: la verità e la giustizia. Sono loro che ci fanno da scorta e che ci indicano i valori e gli ideali con i quali si crea una società migliore e si combatta il terribile cancro della Mafia. Siamo tutti siciliani perché siamo tutti italiani.

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