Alzi la mano chi, recatosi per fare la spesa in un supermercato o in un grande magazzino, non è rimasto sorpreso dalle dimensioni e dal contenuto sempre più ridotto di un certo prodotto. Ebbene, non si tratta di un caso “strano” o inspiegabile, ma di una politica di marketing sempre più diffusa e che esiste da oltre un decennio.
I tecnici chiamano questo fenomeno shrinkflation. Il termine deriva dall’unione del verbo inglese “to shrink”, ovvero restringere, con il sostantivo “inflation”. Sarebbe stato coniato nel 2009 dall’economista britannica Pippa Malmgren. In italiano si potrebbe tradurre questo termine con l’espressione “rincaro occulto“. Il prezzo sarebbe solo apparentemente uguale dato che la “leggera” riduzione del prodotto venduto è spesso nascosta da altri fattori. Magari un nuovo packaging o un particolare in grado di distogliere l’attenzione del potenziale acquirente. Molte volte cambiano i formati dei prodotti e il peso netto, ma il prezzo non diminuisce. Anzi, spesso aumenta giustificato dal “nuovo”. É proprio questo l’aspetto più pericoloso della shrinkflation: la variazione è quasi impercettibile, in maniera che il consumatore non se ne renda conto.
Su questo problema pare stia indagando l’Antitrust: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato avrebbe avviato un’istruttoria per assicurarsi che le strategie che vengono adottate dai produttori non costituiscano una pratica commerciale scorretta. Un modo di fare che potrebbe violare il Codice del Consumo.
“Non è solo una pratica commerciale, – ha dichiarato Davide Etzi, Psicologo ed Economista Comportamentale – ma di marketing e di sistema economico”. E per questo “molto più pericolosa, perché impatta subdolamente sulla cultura e sulle distorsioni cognitive dei consumatori/cittadini”.
Secondo Etzi avrebbe “fatto scuola” il caso di un prodotto realizzato dalla multinazionale Mondeléz. Dal 2016, le dimensioni del “tubo” si sono ridotte considerevolmente. Lo stesso è avvenuto per una famosa marca di patatine confezionate dentro un tubo di cartone: in 20 anni, il peso netto si è costantemente ridotto, ma il prezzo è rimasto lo stesso (anzi in qualche caso è aumentato). Lo stesso dicasi per alcuni detersivi.
In tutti questi casi, la riduzione è stata, anno dopo anno, minima. Chiaro l’obiettivo: non far notare al potenziale compratore il cambiamento. Magari nascondendolo dietro a qualche altro cambiamento. Ecco quindi che un famoso formaggio spalmabile è diventato “light” ma anche il peso netto che è passato da 200 a 190 grammi per confezione. Lo stesso per una famosa marca di biscotti: il penso netto della confezione è sceso da 300 a 290 grammi. E così cosa per alcuni detersivi: una famosa marca di detersivo per i piatti ha ridotto il contenuto nel flacone da 1 litro a 900 ml. Per una marca di fazzoletti usa e getta i fazzoletti per ogni singolo pacchetto sono passati da 10 a 9.
In alcuni casi, la manovra di shrinkflation è più nascosta: nel caso del tonno in scatola il peso netto è rimasto lo stesso, a ridursi è stato il contenuto di olio, mantenendo lo stesso quantitativo di pesce sgocciolato. In altri casi, la strategia è stata più complessa: il prodotto è stato presentato come “nuovo” o con certe caratteristiche che hanno distratto l’attenzione della clientela dalla riduzione del peso netto per confezione. È il caso di una famosa marca di pasta secca che ha presentato un nuovo prodotto trafilato “al bronzo”, più ruvido per essere più gustoso grazie al fatto di trattenere il sugo. Ma senza dire che il peso netto della confezione è passato dai tradizionali 500 a 400 gr.. Inutile dire che di questo cambiamento sullo spot non si parla, mentre si cerca di attirare il cliente con altre novità.
Per alcuni prodotti si è cercato di distrarre (ma il termine corretto sarebbe un altro) il cliente grazie al ricorso a formati specifici e differenti per i multipack in “promozione”. Esemplare il caso segnalato da un’associazione di consumatori. una famosa marca di caffè in polvere vende confezioni singole da 250 grammi e un multipack offerto in… ”offerta” che contiene 4 singole confezioni di caffè non non da 250 gr ciascuna da 225 grammi ciascuna. Una differenza di formato che non permetterebbe un confronto rapido al cliente meno attento. Lo stesso per una nota marca di detersivi per lavatrice.
In Italia, l’ISTAT ha cercato di monitorare la situazione: solo nel quinquennio 2012-2017 sarebbero stati rilevato oltre 7.300 casi di shrinkflation. Per più della metà di questi, alla riduzione delle dimensioni o del peso del prodotto offerto, si sarebbe aggiunta anche una crescita di prezzo basata sulla “novità” o su innovazioni particolari.
Purtroppo né ISTAT né le associazioni dei consumatori non hanno potuto fare molto se non monitorare questo fenomeno: nelle confezioni “ridotte” il peso indicato è quello corretto, sebbene inferiore a quello tradizionale o precedente e scritto in caratteri microscopici (e di certo non indicato negli spot).
L’unico strumento per tutelare i consumatori sarebbe l’informazione. Ma qui entrano in gioco i media: di questo argomento, come di altri importanti per la tutela dei consumatori, si è parlato poco. Una forma di shrinkflation dell’informazione che rende difficile ai consumatori capire come mai sono i carrelli della spesa sono sempre più vuoti e il totale da pagare è sempre più caro.