L’opinione pubblica occidentale è solita salutare con entusiasmo l’utilizzo dei social network e delle app di messaggistica quando esse permettono di scardinare la censura delle dittature, a portare la gente in piazza e a permettere l’espressione delle opinioni ai leader d’opposizione dei più feroci regimi. D’altra parte, inorridiamo quando quegli stessi mezzi sono utilizzati per esprimere le opinioni più aberranti, tesi prive di fondamento scientifico e a riunire frotte di sostenitori di complotti di vario genere. Quale può essere il punto di sintesi?
Inutile esporre qui i vantaggi e gli svantaggi delle nuove tecnologie, su cui tanto si è discusso, ma la questione è discutere se sia adeguato e utile demandare ad essi tutta la comunicazione politica e pubblica e identificare con il loro utilizzo lo stesso esercizio della libertà d’espressione.
Forse spinti da un entusiasmo, come dicevamo prima, eccessivo, consideriamo ormai normale che un presidente di un importante paese comunichi con Twitter. Non ci appare strano discutere della nostra visione del mondo su Facebook con dei perfetti sconosciuti cercando di convincerli della bontà delle nostre idee, o informarci su ciò che accade nel mondo attraverso i bot di Telegram o le pagine a cui abbiamo messo “mi piace”. Ci stupiamo che la conseguenza sia il decadimento della qualità delle informazioni che ne riceviamo e, ancor peggio, il dover leggere costantemente affermazioni deliranti, cui non possiamo che rispondere sdegnati.
È chiaro che i social network sono un mezzo per poter raggiungere rapidamente moltissime persone, ma il fatto stesso che basti un attimo per far arrivare lontano le nostre idee rischia di compromettere la qualità di quelle stesse idee che esprimiamo e farci perdere la capacità critica e di autocritica: non si può intervenire con cognizione di causa su qualsiasi argomento. Le informazioni che leggiamo, singoli frammenti subito sommersi dalla mole di altri contenuti in continuo aggiornamento, non ci permettono di ottenere un quadro generale, anche presumendo che provengano da fonti autorevoli.
Questo però non deve stupirci: un social network nato per far comunicare degli studenti universitari e fare nuove amicizie, non può allo stesso modo essere usato per comunicati stampa di massime autorità senza che queste finiscano per abbassarsi a quello stesso livello. Se il discorso del presidente si trova a fianco alle foto dell’ultima vacanza del tuo collega, chiaramente non può sortire lo stesso solenne effetto di un tempo.
Per poter sfuggire a questa impasse, la cosa migliore potrebbe essere tornare ad utilizzare per ogni cosa il mezzo più corretto. Le discussioni scientifiche tornino sulle riviste, le discussioni politiche sui giornali. Non dico di rinunciare all’utilizzo dei social network o di riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, ma solo che essi tornino ad essere una cassa di risonanza di eventi esterni e non il luogo dove non solo si svolga ma si determini il dibattito pubblico e politico degli stati.
È vero che nelle dittature i social sono limitati solo allo svago e per contro sono un mezzo per eludere le censure. Non possono, però, essere la base dell’informazione e della cultura di un paese e un mezzo per eludere il metodo scientifico.