In una città che sta riemergendo da un pulviscolo nero che l’ha ricoperta per più di un secolo, un ex calciatore vive ogni giorno in compagnia dei suoi ricordi e ne fa il leitmotiv della sua visione del mondo.
Giovanni sa che “le cose da scrivere” e quindi da raccontare “con urgenza sono sempre meno” e per questo lo fa con un sentimento disilluso di chi ha capito che metà del mondo non si degnerà di ascoltarlo. Il suo è una sorta di diario interiore.
Di rado si intreccia con il diario interiore di qualcun altro rivelando il suo universo privato, intimo, il suo pessimismo da bonaccione, il suo sentimento di sconfitta pur colma di piccole significative vittorie. Il suo testamento spirituale.
Ecco, se dovessi dare una definizione alla prima parte di questo romanzo, lo definirei proprio un testamento spirituale, “un atto d’amore” per una città, per un passato che è così forte da battersi col presente, un testo da leggere nel secolo che verrà, ai giovani nelle scuole locali, o a tutti coloro che hanno dubitato della bellezza di questa città, della sua integrità e della sua testardaggine.
Le descrizioni di Piombino diventano confessioni della parte più intima delle “sue” stradine, dei “suoi” bar ormai chiusi, delle “sue” stazioni radio rimpiazzate dal digitale, “suoi”, ovvero del narratore, il quale ci vive dentro come se fosse un insetto piccolissimo, capace di penetrare in tutto ciò che dava a Piombino un carattere. Un carattere del quale oggi si può solo intuire la forza spirituale.
Tutto sopravvive forse nelle madeleine di un Proust onnipresente nell’intera opera dell’autore, nel loro odore, o forse nell’odore dell’“inconcepibile e brutale grandezza della realtà”. È elegante la bocca o la mano di Giovanni, che in realtà è un narratore fittizio, che non ha davvero una vita propria se non all’ombra della vita del suo creatore. Quando parla della sua città è capace di farti sentire la nostalgia del presente e la curiosità del passato, Gordiano Lupi. Ma questa, si sa, è una capacità comune ai grandi narratori.
Un ex calciatore, dicevamo, fa ritorno a Piombino dopo tanti anni e ha la possibilità di allenare una piccola squadra di provincia. Proprio lui che ha toccato i colori più ambiti da chi ama questo sport. Un passo indietro? Tutt’altro. Una vittoria, perché per Giovanni far vincere gli altri è la vera vittoria.
Sapere che il giovane Tarik è stato venduto alla Vecchia Signora e ha riunito la sua famiglia è la vera vittoria per questo narratore un po’ antieroe e un po’ superpartes, il quale grazie alla saggezza guadagnata negli anni di esodo sa guardare adesso con gli occhi di chi non ha bisogno di ridere quando ridono gli altri.
Eppure, nonostante tutto, c’è ancora qualcosa che lo rende fragile e umano, e quindi letterario: il suo primo amore, quello che ha sacrificato tanti anni fa e al quale soltanto nella seconda parte del romanzo viene ridata una voce. Giovanni, Gregor Samsa piombinese, amante del bello e delle piccole cose, osservatore ai margini del nostro sistema invertito che tutto inverte.
A mano a mano che il tempo passa, lui si allontana dalle comuni esigenze, fare soldi, fare carriera, benché abbia fatto entrambe le cose col disdegno di chi vuole dare ma si ritrova ad avere. E inizia invece a ricordare, perché l’osservazione migliore sopravvive nel ricordo, questo lo sanno tutti coloro che cercano di trovare punti in comune tra il loro mondo e quello degli altri.
Dopo aver dedicato la sua vita al calcio e sacrificato la sua storia in nome della sfera che gli italiani più amano al mondo, forse più della madre a cui nessuno ha abbastanza romanzi da dedicare, proprio grazie all’elaborazione del ricordo, il narratore ritroverà il filo dei pensieri lasciati a metà stamattina o vent’anni fa.
Proprio lui, che “la politica non la vuole fare”, proprio lui che riesce a trovare “la malinconia in una tazzina di caffè”, ha bisogno adesso di cerniere e bottoni per allacciare e riabbottonare il vero se stesso.
Solo grazie a questi oggetti che portano con sé una certa magia domestica riusciamo a immaginare il titolo del romanzo al contrario, ovvero a ribaltare la visione pessimistica, che inizia con i sogni e finisce con gli altiforni, in una visione ottimistica, che inizia con gli altiforni e termina con i sogni.