Speriamo che sia femmina è uno dei migliori film italiani dei grigi anni Ottanta, molto femminista, a tratti crepuscolare, amaro, inflessibile nei confronti dei personaggi maschili. Mario Monicelli dirige un bel soggetto di Tullio Pinelli, sceneggiato a dovere insieme a Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e Suso Cecchi D’Amico. Un vero e proprio romanzo per immagini, una commedia corale interpretata da attori di grande spessore tutti ben calati nella loro interpretazione. Liv Ullmann (doppiata da Vittoria Febbi) è Elena, il personaggio principale, la madre attorno a cui ruotano gli eventi, la donna coraggiosa che pensa ai figli e manda avanti una grande fattoria nelle campagne maremmane. Philippe Noiret (doppiato da Sergio Graziani) è il conte Leonardo, l’ex marito farfallone, giocatore, donnaiolo incallito, che propone affari strampalati. Bernard Blier è lo zio Gugo, affetto dal morbo di Alzheimer, immerso nei suoi sogni fanciulleschi, incapace di capire la realtà. Athina Cenci è Fosca, la serva di casa abbandonata dal marito che è scappato in Australia, ormai componente della famiglia. Giuliana De Sio è Franca, la figlia maggiore di Elena e Leonardo, insicura, sempre fidanzata con uomini inadeguati. Stefania Sandrelli è Lori, l’amante del conte che presta una grossa somma di denaro fidandosi di un uomo che non conosce. Catherine Deneuve è Claudia, sorella divorziata di Elena, che fa l’attrice a Roma e si disinteressa della figlia. Giuliano Gemma è l’amministratore Nardoni, amante di Elena, il solo uomo che pare salvarsi, in fondo innamorato della donna, ma soprattutto interessato a diventare padrone del casolare. Paolo Hendel è Mario, lo sciocco fidanzato di Franca, un glottologo che percorre la Toscana alla ricerca di antiche testimonianze orali. Lucrezia Lante della Rovere è Malvina, la figlia minore di Elena e Leonardo. Enio Drovandi, un diligente caratterista, è il simpatico prete toscano del paesello. Paul Muller è il prete inflessibile che dirige l’ospizio. Carlo Monni fa una comparsata da camionista (doppiato). Il film si sviluppa come una storia della famiglia. Arriva il conte Leonardo e propone un progetto assurdo che Elena – confortata dal Nardoni – respinge, anche se le figlie non sono così d’accordo. Il primo evento tragico è la morte del conte avvenuta per una dabbenaggine alla guida dell’auto, sotto gli occhi dello zio Gugo che non si rende conto di niente. Il tono leggero dell’opera non si perde mai, perché è un classico della commedia all’italiana raccontare la vita, inserendo momenti tristi. Le ragazzine che fuggono per vedere il concerto di Ron (ripreso dal vero, a Siena) sono un altro momento drammatico che viene reso leggero. Elena è oberata dai debiti, dovrebbe pagare anche l’amante di Leonardo che ha prestato dei soldi per un progetto che non si farà mai, ma decide di non vendere il casolare e di restare nella sua campagna. Inutile raccontare la trama nei minimi particolari. Importante è il messaggio della pellicola. Le donne sono il nucleo portante della famiglia, i baluardi che resistono al tempo, capaci di superare le avversità con coraggio e spirito di sacrificio. La morale del film è che le donne possono farcela anche da sole, mentre gli uomini sono soltanto decorativi, servono a fare figli, tessere imbrogli e creare problemi. La sequenza finale spiega il titolo, perché tra le donne che restano sole nella grande casa di campagna la figlia Franca è incinta. Siccome tutti gli uomini con cui hanno avuto a che fare si sono rivelati inadeguati, le donne riunite a tavola sperano che il nuovo arrivato sia femmina. L’ambientazione toscana è ben realizzata, la tranquillità del casolare senza telefono immerso nelle stupende vallate senesi (in realtà Alto Lazio) contrasta con la Roma degli intrighi, dipinta come luogo di corruzione. Stupende musiche di Nicola Piovani, grande fotografia di Camillo Bazzoni. Sette David di Donatello e tre Nastri d’argento.
Rassegna critica. Gian Luigi Rondi (Il Tempo, 1 marzo 1986): “Un gioco perfetto. Di caratteri, di sentimenti, di situazioni. Con un tasso continuo d’ironia che si fa intendere tra le pieghe del racconto anche quando la nota è al dramma: la morte di Leonardo, per esempio, cui lì nessuno pensa”. Giovanni Grazzini (Il Corriere della Sera): “Mario Monicelli ci dà una delle opere più belle di tutta la sua carriera, degna d’uscire dall’orto italiano per la sua ricchezza di chiaroscuri e l’eccellenza della sua architettura”. Pino Farinotti assegna tre stelle ma non motiva. Morando Morandini (tre stelle e mezzo per la critica, quattro per il pubblico): “Grande film borghese che arricchisce il povero panorama del cinema italiano degli anni Ottanta per il sapiente impasto di toni drammatici, umoristici e grotteschi, la splendida galleria di ritratti femminili, la continua oscillazione tra leggerezza e gravità, il modo con cui – senza forzature ideologiche – sviluppa il discorso sull’assenza, la debolezza, l’egoismo dei maschi. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): Uno dei film italiani più amati, fortunati (e forse un po’ sopravvalutati) degli anni Ottanta: privo di una vera critica sociale, è abile nel cogliere certi mutamenti di costume (la normalità della mamma single) e certe mode (la campagna da Mulino Bianco); e la cattiveria monicelliana, di cui fanno le spese i personaggi maschili, viene compensata da un elogio delle donne improntato a un ottimismo un po’ programmatico. Tra i limiti, un cast eterogeneo non sempre credibile (la Ullmann sorella della Deneuve!) e una parte centrale fiacca: e per essere un film femminista non è curioso che i personaggi più memorabili – a parte la Cenci – siano maschi? Bella la fotografia di Camillo Bazzoni, che fa sembrare Toscana quello che in realtà è l’Alto Lazio”. Non condividiamo. Speriamo che sia femmina è una commedia corale gestita dal regista senza la minima incertezza, ricca di motivi bergmaniani quando affronta il rapporto uomo – donna e sviscera in negativo la figura maschile. La sublime interpretazione di Liv Ullmann – e la scelta come protagonista – confortano la nostra tesi di un Monicelli critico nei confronti della famiglia tradizionale, sempre più convinto del ruolo determinante rappresentato dall’elemento femminile.
Regia: Mario Monicelli. Soggetto: Tullio Pinelli. Sceneggiatura: Tullio Pinelli, Mario Monicelli, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi D’Amico. Fotografia: Camillo Bazzoni. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musiche: Nicola Piovani (Edizioni Musicali Gipsy). Scenografia: Enrico Fiorentini. Costumi: Ezio Altieri. Produttore: Giovanni Di Clemente per Clemi Cinematografica. Produttore Esecutivo: Bruno Ridolfi. Aiuto Regista: Giacomo Campiotti. Location: Vicovaro, Tarquinia, Siena, Roma. Durata: 120’. Commedia. Origine. Italia/Francia. Interpreti: Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Philippe Noiret, Giuliana De Sio, Stefania Sandrelli, Bernard Blier, Giuliano Gemma, Athina Cenci, Paolo Hendel, Lucrezia Lante Della Rovere, Adalberto Maria Merli, Nuccia Fumo, Paul Muller, Carlo Monni, Francesca Calò, Simona Cera, Enio Drovandi, Mario Cecchi, Riccardo Diana.
Premi: 7 David di Donatello 1986 e 2 Nomination (Miglior Film, Regia, Produzione, Sceneggiatura, Attore Non Protagonista – Blier – Attrice Non Protagonista – Cenci – Montaggio, Nomination Attrice Protagonista – Ullmann -, Nomination Attrice Non Protagonista – Sandrelli); 3 Nastri d’Argento 1986 e 3 Nomination (Miglior Regia, Sceneggiatura, Montaggio, Nomination Soggetto, Nomination Attore Non Protagonista – Gemma – Nomination Attrice Non Protagonista – Cenci); 3 Ciack d’Oro 1986 (Film, Attrice Protagonista – De Sio -, Attrice Non Protagonista – Cenci) .