“Spiderland” degli Slint: come è possibile fare scacco matto con una sola mossa?

Articolo di Andrea Musumeci

Secondo voi, è possibile fare scacco matto con una sola mossa?
Evidentemente, ci fu un qualcosa di magico e profetico in quel 1991. Un anno in cui il genere rock subì profondi cambiamenti nella sua configurazione sonora. Da quel momento in poi, tutto iniziò a tramutarsi in “post qualcosa”, diventando imprevedibile, mutevole ed esplorativo, senza una meta definita, verso una terra spogliata dei suoi confini.

Si avvertiva l’urgenza di trovare un modo rivoluzionario per evadere dagli schemi coercitivi del passato, cercando di fuggire dal convenzionale, creando nuove tessere cognitive e nuove trame di linguaggio: come un ragno crea la sua ragnatela, così l’uomo crea il suo intreccio di inquietudine, perplessità e paure inconscie. Bisogna distruggere per poter ricostruire.

Ed il rock, per sopravvivere, aveva bisogno di liberarsi delle sovrastrutture del decennio precedente, proseguendo il discorso della fusione tra generi cominciata nell’epoca del post punk. L’avevano capito l’economia capitalista dei sovranisti, le medie imprese ed alcuni musicisti, i quali videro quel nuovo scenario come fattore cairologico e, quindi, come l’opportunità per ricominciare a sperimentare, dando vita ad una rinnovata corrente post punk che, successivamente, verrà denominata post rock.
Lo scioglimento dei blocchi ideologici di fine anni Ottanta portò, in ogni settore della nostra vita, ad una libertà d’azione maggiore, ad una maggiore autonomia e indipendenza, e ad una conseguente e rapida estensione dei confini espressivi dell’essere umano, come un fiume in piena, ma non senza contraddizioni etiche e conflitti etnici.

In questo nuovo scenario geopolitico mondiale, alcune realtà scossero l’inerzia creativa dell’universo rock, formandosi come modelli influenti e seminali, trasmettendo ai posteri patrimoni indelebili ed immarcescibili. Uno di questi è il testamento ereditato dagli Slint, che ci conducono sotto il cielo alternativo di Louisville, nelle acque melmose del lago Kentucky (o fiume Ohio nel suo punto di larghezza massima vicino a Louisville) in quello storico laboratorio concettuale che, da lì a poco, avrebbe riscritto le coordinate stilistiche ed umanistiche del genere rock contemporaneo.
Forse la morfologia del luogo ritratto in copertina è cambiata, o forse quel lago si è semplicemente prosciugato. Fatto sta che Brian McMahan, David Pajo (futuro componente di una band storica come i Tortoise), Ethan Buckler e Britt Walford furono gli artefici di quell’arte embrionale, visionaria, distopica e avanguardista: un’opera free jazz, dark jazz, krautrock e rock noir che prese forma e sostanza nel 1991 con la pubblicazione di Spiderland, una gemma discografica (aggettivazione alquanto riduttiva) di inestimabile valore che, ancora oggi, viene considerata oggetto di culto e capolavoro antesignano ed intoccabile del post rock.

Spiderland tocca corde e note dalle venature stridenti, aghiformi, melodiche, distorte, spigolose, angolari, malinconiche e sinistre, trasmettendo atmosfere intense, dilatate e notturne, attraverso arpeggi essenziali, ipnotici ed esasperati, cambi di ritmo (controtempi) e tonalità improvvisi, senza schemi ed un cantato bisbigliato, intimo e sofferto.
Il lessico e la sintassi delle sei tracce dell’album (Breadcrumb Trail, Nosferatu Man, Don Aman, Washer, For Dinner, Good Morning Captain) si dilatano e sfumano come fossero una suite unica, spiazzando ogni tentativo di ragionevole comprensione ed alternando irrequietezza e tenerezza, quasi a voler cullare sia i momenti di calma apparente che gli accennati stati di tensione e ansia.

Una lotta inconscia tra enfasi e sobrietà, tra forma e caos, dove la fine del giorno torna alla sua quiete iniziale, in un loop circolare che sembra voler correre al riparo dalle contratture del mondo esterno.
Il percorso ascetico di Spiderland è un mistero affascinante e disorientante, scandito da un perpetuo tintinnio oscuro, scarno, magnetico, poetico, letterario e romantico, che ci attira nella sua rete e ci intrappola nella teoria degli opposti che si attraggono.
Eraclito riteneva che la legge segreta del mondo risiedesse proprio nella stretta connessione dei contrari che in quanto opposti, lottano fra di loro, ma nello stesso tempo, non possono fare a meno l’uno dell’altro dato che vivono solo l’uno in virtù dell’altro.

Dopo la pubblicazione di Spiderland, gli Slint si sciolsero, in punta di piedi, senza far rumore. Spiderland è una vita che nasce e muore con se stessa; esplode ed implode in un crescendo e diminuendo di emozioni, senza bisogno di ripetere la propria esperienza, ma semplicemente come unicum terapeutico e per questo immortale.

Spiderland, nonostante i suoi 29 anni, rappresenta, ancora oggi, quel sottile raggio di sole con il quale gli Slint illuminarono la scena della musica alternativa, riuscendo, così, a colmare lo strappo tra il “vecchio modo” ed il “nuovo modo” di esprimere il disagio, in una trasformazione del tutto naturale e non più reversibile.
https://youtu.be/FAApF-FDkoY

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