Strage di Via d’Amelio: “sentimmo l’esplosione e poco dopo avvertimmo il terrore”

Articolo di Edoardo Ullo

Di quella domenica 19 luglio 1992 conservo un ricordo piuttosto vivo: quell’esplosione cupa che speri sia un tuono. E che inizialmente percepii così. Erano passati meno di due mesi da quanto successo a Capaci e nessuno avrebbe mai pensato ad un nuovo eccidio, dopo quello che costò la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo ed alla scorta, a così breve distanza.

Alle 16,58 del 19 luglio 1992 ero nella mia cameretta a giocare con il computer. Ricordo perfettamente a cosa stessi giocando ma oggettivamente ha poca importanza. Ricordo anche che in quei minuti c’era poca luce che percepii come un annuvolamento improvviso. Unito al boato che sentii lo collegai ad un possibile temporale imminente. Spensi subito il computer ed andai nel soggiorno per suggerire a mio padre – che col pc ci stava lavorando seriamente – di spegnere.

Quando però vidi il sole. Chiesi a mio padre se avesse sentito e rispose di sì pensando però ad una bombola del gas esplosa. Non feci tempo a tornare indietro che dalla vicina via Libertà cominciammo a sentire le prime sirene di ambulanze, volanti e vigili del fuoco sfrecciare.

Mio padre serafico mi disse “adduma a tv”, (accendi la tv). Le notizie non tardarono ad arrivare. “Attentato a Palermo, nella zona della Fiera”. Poi notizie più dettagliate “…Via d’Amelio, sembra coinvolto il giudice Borsellino…”.

Cinquantasette giorni dopo Capaci, ci trovammo a seguire nuovamente le edizioni straordinarie dei telegiornali collegati da Palermo, a pochi passi da casa (via D’Amelio in linea d’aria non è lontana da dove abitavo e da dove abito tutt’ora), per descrivere un inferno.

Ancora morti violente con dettagli sempre più pesanti da ascoltare. Dire che rimanemmo attoniti è il minimo.

E devastazione, diversa – ma simile – a quella dell’autostrada di Capaci con il palazzo di via d’Amelio sventrato.

Tutto strideva con quello che accadeva a pochi metri da noi, una famiglia festeggiava rumorosamente la comunione del figlio. Pensammo con i miei genitori che proprio non era il caso ma la gente non è tutta uguale.

In quel frangente ricordammo un episodio: pochi giorni prima avevamo visto Borsellino in un bar. Eravamo in noto locale del controviale di via Libertà all’altezza di via Archimede. Mio padre si accorse di lui e notò che era senza scorta. Si scosse molto vedendolo così “indifeso”. Una figura esile, un uomo solo che aveva un peso immane sulle spalle e sulla testa. Sapeva di essere “un morto che camminava”, forse per questo era lontano dalla scorta. Un modo per proteggere gli altri dal pagare un conto non loro. Non servì, purtroppo.

Pochi giorni dopo ritrovavo la foto di quell’uomo che avevo visto al bar e che ora – con la maturità dovuta esclusivamente al passare di 29 anni – posso capire quanto fosse teso e quanto prendersi quel caffè in modo veloce fosse una piccola evasione. Un modo per non pensare a quello che poteva succedere e che lui sapeva, intuiva, poteva capitargli. E che poi si sarebbe tragicamente verificato.

No, quel botto – scambiato per un tuono minaccioso – non lo scordo. Non era un tuono, purtroppo, ma un’esplosione dal suono cupo che portò altra morte, altra disperazione.

Fece scalpore, era un’altra era rispetto a quella odierna, la morte della giovanissima Emanuela Loi. Non aveva 25 anni. E fu la prima donna poliziotto rimasta uccisa in servizio. Aveva pochi mesi in più di mia sorella, quindi potete capire come a mio padre ed a mia madre fece sensazione. Come è stato per tutti, però. Solo che con Emanuela Loi era caduto un altro velo della follia violenta della mafia.

Ma non sarebbe giusto non ricordare Agostino Catalano. Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

E no, non potrò neppure dimenticare qualche giorno dopo, i funerali di stato (volutamente minuscolo) per gli agenti della polizia di Stato (volutamente maiuscolo). La Palermo esasperata invase la Cattedrale e fece sentire la sua rabbia, dissenso, sdegno contro la classe politica. Ayala, allora magistrato, e Vincenzo Parisi, capo della polizia, fecero da scudo al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro beccandosi anche qualche colpo dalla folla. Immagini che fecero il giro del mondo, come quelle di qualche giorno prima della strage che – a pensarci bene ed a pensare male – si sarebbe potuta evitare.

Appresa la dinamica, chiunque avesse sale in zucca si chiese come mai non ci fosse una zona rimozione in zona. Ma fossero solo questi i dubbi. Agenda rossa docet…

Foto: antimafiaduemila.com

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