La fortuna critica di Gian Burrasca ha conosciuto vette altissime tra le due guerre, per continuare poi negli anni del boom economico, sino a esaurire il suo ciclo siderale con l’avvento del nuovo secolo; l’unica amara consolazione è che l’opera non si trova in pessima compagnia. Prima di soffermarci sulle particolarità dell’opera, meriterebbe un breve accenno il suo autore, tale Luigi Bertelli, fiorentino di nascita e costumi, e passato al secolo con il nome di Vamba, il buffone di corte nell’Ivanhoe di Walter Scott. Il Bertelli ha dedicato l’intera sua vita al pubblico dei più piccoli, creando anche un apposito giornale “Il Giornalino della Domenica”, quotidiano con cadenza domenicale antesignano dei fumetti. Proprio su tali pagine Vamba raccontò le vicende spassose di un ragazzo di nome Giannino Stoppani, ultimogenito di una famiglia fiorentina dell’alta borghesia, al quale nel giorno del suo compleanno è stato regalato dalla madre un diario.
Il rapporto nato con il taccuino è molto curioso; pur considerando che si tratta di un periodo antecedente al Cuore di De Amicis, per il quale l’espediente narrativo del diario aveva avuto un successo nazionale, il regalo avuto in dono (giornalino rimane l’unica parola utilizzata da Vamba precisamente con 87 occorrenze) diventa oggetto costante di un’ossessione maniacale, che riconosce come unico piacere la narrazione delle proprie giornate: “Ed era tanto che mi struggevo di avere un giornalino mio, dove scriverci le mie memorie”; poi diventa incredulità di fronte a tante pagine vuote: “Io, invece, non so più che cosa dire; e allora come farò a riempire tutte le tue pagine bianche, mio caro giornalino?”. Per questo motivo Giannino s’ingegna di riempirlo con le pagine del diario della sorella Ada (per combinazione ognuna delle tre sorelle ne ha uno), ricopiandone una piccola parte dove dileggia uno tra i papabili pretendenti, combinando la prima memorabile birichinata. Il diario, pertanto, diventa amico indiscreto “Son proprio nato disgraziato!”; orecchio compiacente; lavatoio ossessivo dei propri sfoghi; e soprattutto amico sincero. Più volte Giannino percorre la strada della prosopopea considerando l’oggetto astratto concreto, come protezione o salvaguardia della sua innocenza, per cui annota minuziosamente: “Ma come avrei potuto dormire, giornalino mio caro, senza prima confidarti tutte le peripezie della giornata?”; in seguito, non a caso, attenderà perennemente il momento opportuno per scrivere, deprecando gli attimi perduti; e arriverà persino a tenerlo con sé, stringendoselo al petto nei momenti più concitati della sua esperienza al collegio Pierpaoli, vedi il 14 febbraio: “Perciò l’ho levato dalla mia valigia e lo tengo legato sul petto con uno spago e vorrei vedere chi avesse l’ardire di venirmelo a cercare!”.
Le pagine bianche che ritrovano un inusuale corredo grafico, presentano un linguaggio molto spigliato e pieno di ironia che riconosce tutte le forme della dissacrazione, dal comico al grottesco, cioè dalla costruzione dell’improvvisato serraglio da circo, nei terreni attigui alla sua proprietà, al viaggio in treno verso Roma in compagnia del signor Tyrynnanzy (altra storia memorabile). Vamba ribalta in tal senso l’assioma secondo il quale lo sviluppo pedagogico del bambino consisteva nel riproporre lo schema basato sulla triade: famiglia-lavoro-moralità. Invece l’effetto che ne trae è parodico, per cui alle sorelle che cercano marito, Giannino, fedele ai suoi principi di verità, diffonderà nel quartiere le foto di giovani pretendenti, corredate dai commenti ingiuriosi delle medesime.
Nella creazione della sua inventiva, il Vamba ha dimostrato in tal senso una delicatezza e una profondità culturale molto vasta, orientata a formare un patrimonio di conoscenze per un’utenza primariamente bisognosa d’essere capita nell’interezza delle sue fibre. Infatti la lettura del giornalino di Giannino Stoppani, chiamato familiarmente Gian Burrasca per il disastroso effetto delle sue marachelle che si estendono ben oltre il raggio familiare, è nata e concepita solo nell’interesse del bambino rendendolo contemporaneamente narratore, attore, protagonista assoluto.
Come notavamo poc’anzi, la struttura narrativa del diario-epistolare ripropone una formula congeniale ai lettori e di già dichiarato successo dai tempi del Cuore di De Amicis. Mentre però Enrico Bottini si limita ad annotare pensieri ed emozioni di ben altra profondità, riferendosi a un pubblico di lettori più maturo, Giannino rimane bambino nell’opre, nelle azioni e nei sentimenti ricopiando diligentemente la sua vita in quella carta che profuma d’infanzia: è un diario diverso, intimo, più legato all’indole del suo proprietario nato casinista, un piccolo Pinocchio che si ostina a rimanere di legno. Inoltre, al contrario di Enrico che cerca perennemente l’ammirazione dei grandi e una continua conformazione nel futuro uomo del domani, Giannino rivendica la sua natura di bambino, di agnello sacrificale, di vittima dinnanzi agli adulti, perché palesemente bugiardi, essere ignobili, e privi di continuità logica. L’approccio è quello tipico di Rousseau: “il bambino è perfetto, sbagliata è la società”.
Ne offriamo alcuni interessanti spunti, ad esempio nell’annotazione presa nel corso del 9 gennaio dove in merito a una burla combinata in casa della sorella Ada, trasferita a Roma, Giannino annota: “la mia, invece, è una tragedia nera che si potrebbe intitolare: Il piccolo bandito, ossia La vittima della libertà, perché, in fin dei conti, tutto quello che mi succede è stato per dare la libertà a un povero canarino che la sora Matilde voleva tenere chiuso in gabbia.”. Dunque è un vittimismo che non si poggia su un puerile j’accuse, ma che ribalta la prospettiva adulto-bambino, secondo cui la fondatezza dei capricci si fonderebbe su una libera volontà di espressione, di ricezione del messaggio in virtù di principi morali che vengono inculcati.
Il Vamba offre un altro saggio emblematico nell’episodio della confessione del amico di Giannino, il Balestra compagno al collegio Pierpaoli, che, in virtù dei principi di un utopico socialismo inculcato dal padre, offre pasterelle, confetti, e rosolii ai suoi piccoli amici, creando un catastrofico guazzabuglio nella pasticceria paterna, si noti al 9 febbraio il seguente periodo: “- Vedi? – gli ho detto. – Anche tu sei vittima, com’è accaduto a me in più circostanze della vita, della tua buona fede e della tua sincerità. Tu avendo il babbo socialista hai creduto nel tuo entusiasmo di dover mettere in pratica le sue teorie distribuendo i pasticcini a que’ poveri ragazzi che non ne avevan mai assaggiati, e il tuo babbo ti ha punito….”. Quindi i bambini seguono gli insegnamenti degli adulti e i problemi nascono quando i grandi non riconoscono la fallacia dei loro insegnamenti o l’assenza di filtri nei bambini.
Infine, da un punto di vista strettamente culturale, le pagine del giornalino sintetizzano le mode letterarie del primo Novecento, riconoscendo perfettamente il contesto letterario che agisce sul bambino e, nella fattispecie, sulla sua generazione, distinguendo i generi di consumo del canone letterario. Leggiamo in occasione del 25 ottobre, le seguenti parole: “È appena giorno. Ho letto quasi tutta la notte. Che scrittore questo Salgari! Che romanzi….Altro che i Promessi Sposi, con quelle descrizioni noiose che non finiscono mai! Che bello essere un corsaro! E un corsaro nero, per giunta!”. Salgari agli occhi di un bambino comune è lo scrittore prediletto; scorporando la noia dalle pastoie del romanzo, lo scrittore veronese inanella avventure su avventure, diventando uno tra i più letti di inizio secolo. E ancora più avanti il 10 gennaio: “in questo momento vorrei avere la penna di Edmondo De Amicis perché la scena che è successa a scuola stamani è una di quelle da far piangere la gente come vitelli”. La penna di De Amicis assume in tal senso un valore metonimico e allude a una tipologia di scrittura melodrammatica, caricata di tinte e toni fortemente patetici o tragici, dei quali straordinario esempio ne aveva data un’abbondante produzione letteraria dell’autore ligure. E soffermandoci su questa sottile raffinatezza del Vamba, aggiungiamo che molti altri ancora sono i riferimenti culturali che fanno di quest’opera una perfetta sintesi culturale e pedagogica del secolo scorso, ancora valida nelle sue diverse sfumature.
Il Giornalino di Gian Burrasca, pertanto, nella scrittura compulsiva ed esaustiva delle sue pagine, è una riflessione pedagogica accurata che vuole rendere giustizia all’universo bambino (e non puerile); che merita rispetto, ascolto e, al contempo, un’attenzione al linguaggio: è tra il detto e il non detto che si insinua la confusione, l’euforia, il caos, scorporando logicamente qualsiasi diagnosi accurata e moderna. Giannino s’incunea in quello spazio e rivendica la bontà del suo agire, di un’obbedienza distorta – e distopica – imposta ai bambini: “È inutile: il vero torto di noi ragazzi è uno solo: quello di pigliar sul serio le teorie degli uomini…. e anche quelle delle donne! In generale accade questo: che i grandi insegnano ai piccini una quantità di cose belle e buone…. ma guai se uno dei loro ottimi insegnamenti, nel momento di metterlo in pratica, urta i loro nervi, o i loro calcoli, o i loro interessi!”.