La collaborazione tra Tinto Brass e Alberto Sordi dura lo spazio di due pellicole, ma è interessante approfondirle, perché si tratta di lavori atipici per il regista veneziano e di interpretazioni interessanti per l’attore romano, nelle due occasioni accanto a Silvana Mangano.
La mia signora (1964) è un film collettivo girato da Tinto Brass insieme a Luigi Comencini e Mauro Bolognini, composto da cinque episodi con protagonisti Alberto Sordi e Silvana Mangano. Brass gira L’uccellino e L’automobile, due storie di diverso tenore rette dalla comicità di Sordi e dalla bellezza della Mangano. L’uccellino racconta l’esplosione di una furia omicida per colpa di un canarino, mentre L’automobile inserisce per la prima volta nel cinema di Brass il tema del tradimento, ma certo non impostato come nei lavori contemporanei. Il film è ancora convenzionale, segue i temi della commedia all’italiana classica, e presenta un Sordi che sopporta il tradimento della moglie, ma non regge al furto della sua automobile. Alberto Sordi e Silvana Mangano sono bravissimi. Tinto Bass si trova così bene con loro che decide di girare Il disco volante (1964) con identico cast artistico, integrato da Monica Vitti, Eleonora Rossi Drago, Piero Morgia ed Erika Blanc. Ci sono anche Carlo Mazzarella e Lello Bersani, ma nei panni a loro congeniali di due cronisti. Il soggetto è di Sonego, autore di fiducia del primo Sordi, ma non è il massimo dell’originalità perché si ispira a Un marziano a Roma di Flaiano. I marziani atterrano in un paese del Veneto, i carabinieri interrogano i testimoni, ma alla fine mettono tutto a tacere e le persone oneste finiscono in manicomio. Alberto Sordi è bravissimo a interpretare ben quattro ruoli distinti (prete, brigadiere, impiegato e nobile omosessuale). Niente di erotico, ma solo una sorta di fantascienza comica piuttosto scontata, a maggior dimostrazione che la carriera di Brass va separata in due fasi nettamente contrapposte. Antonio Tentori e Antonio Bruschini – propugnatori della tesi di una filmografia brassiana uniforme – individuano la tematica erotica nel personaggio di una marziana in tuta spaziale aderente con i seni protetti da sfere di vetro, ma la tesi pare ardita. Secondo i due illustri autori il sesso esiste anche nei film che coprono il periodo 1963 – 1971, meno esplicito e usato come metafora, in funzione anarchica, contro ogni potere. Condividiamo il pensiero soltanto in parte, perché se è vero che esistono elementi erotici anche nel primo Brass è pur vero che rivestono un ruolo marginale rispetto alla ricerca stilistica e all’analisi di nuove forme espressive. Pare preferibile affermare che solo da Salon Kitty in poi il sesso diventerà fondamentale nel cinema di Brass, assumendo un ruolo di primo piano, sia come metafora contro il potere che come momento di totale liberazione individuale.
La mia signora (1964)
Episodio L’uccellino – Regia e Montaggio: Tinto Brass. Soggetto e Sceneggiatura: Rodolfo Sonego e Alberto Bevilacqua. Fotografia: Otello Martelli. Musica: Armando Trovajoli. Scenografia: Mario Garbuglia. Costumi: Gabriella Mayer e Piero Gherardi (Per Silvana Mangano). Interpreti: Silvana Mangano e Alberto Sordi. Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica.
Episodio L’automobile – Regia e Montaggio: Tinto Brass. Soggetto e Sceneggiatura: Rodolfo Sonego. Fotografia: Otello Martelli. Musica: Armando Trovajoli. Scenografia: Mario Garbuglia. Costumi: Gabriella Mayer e Piero Gherardi (Per Silvana Mangano). Interpreti: Silvana Mangano e Alberto Sordi. Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica.
Sinossi (tratta da www.tintobrass.to) – Episodio L’uccellino: Un canarino diviene la causa di un’improvvisa crisi coniugale. Il marito decide di sopprimere l’uccellino, per il quale la moglie nutre un affetto eccessivo. Ma la donna lo sostituisce con altri uccellini: il marito, allora, uccide la moglie. Episodio L’automobile: Un uomo è innamorato più della propria macchina che della moglie: non fa caso alle sue infedeltà, ma si abbatte quando l’automobile, cui è così infantilmente attaccato, gli viene rubata.
Il disco volante (1964)
Regia di Tinto Brass. Soggetto e Sceneggiatura: Rodolfo Sonego. Fotografia: Bruno Barcarol. Fotografia: Piero Piccioni. Montaggio: Tatiana Casini. Scenografia e Arredamento: Elio Costanzi. Costumi disco volante: Gianni Polidori. Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica. Interpreti: Alberto Sordi, Monica Vitti, Eleonora Rossi Drago, Silvana Mangano, Guido Celano, Carlo Mazzarella, Lello Bersani.
Sinossi (tratta da www.tintobrass.to) – In un paesino del Veneto atterra improvvisamente un disco volante. Una contadina riesce a catturare l’extraterrestre sceso sulla terra e decide di venderlo a un conte omosessuale. Ma il marziano viene fatto sparire dalla madre del nobile che, insieme a tutti quelli che sostenevano l’esistenza del disco volante, finisce in manicomio.
La mia signora (1964) è un film collettivo a episodi costruito sulla personalità di due grandi attori come Alberto Sordi e Silvana Mangano, che Brass gira insieme a Mauro Bolognini e Luigi Comencini. Brass apre e chiude la pellicola con due brevi episodi L’uccellino e L’automobile, che possono essere definiti esperimenti di commedia all’italiana, ma che mettono in evidenza il talento inventivo di un regista che fa del grottesco e del surreale le sue armi migliori. L’uccellino è un breve bozzetto che alterna parti oniriche a momenti di comicità nera, scritto da Sonego (uomo di fiducia di Sordi) e Bevilacqua. Brass gira e monta, ma mette il marchio d’autore in un bianco e nero ben fotografato, nella musica d’epoca di Trovajoli e nella rapidità delle sequenze. Silvana Mangano è una moglie che parla con la erre blesa, tutta presa dal suo uccellino, al punto di trascurare un marito stressato. Le invenzioni filmiche sono interessanti, ma soprattutto la recitazione di Sordi è a livelli altissimi, perché non pronuncia una sola frase, ma dà spessore al personaggio con la forza dello sguardo. L’episodio è un esempio moderno ed efficace di umorismo nero.
La mia signora affronta le problematiche all’interno del rapporto di coppia, tema che è molto caro al Brass contemporaneo. I registi descrivono con umorismo e ironia i rapporti coniugali negli anni del boom. Eritrea di Luigi Comencini, I miei cari (tratto da un racconto di Goffredo Parise) e Luciana di Mauro Bolognini sono tre variazioni più malinconiche sullo stesso tema. Alberto Sordi è il marito, il compagno, l’uomo debole, il mammone, il traditore, l’inetto, lo stressato, l’approfittatore, il succube, il piccolo borghese di ogni episodio. Silvana Mangano rappresenta l’universo femminile, la bellezza acuta e intelligente che esce vincitrice da questa guerra dei sessi.Il film chiude con L’automobile di Tinto Brass, scritto e sceneggiato da Rodolfo Sonego, che Il Farinotti e Il Morandini reputano l’episodio più riuscito. Brass mette alla berlina la passione tutta italiana per le automobili, descrivendo un marito indifferente ai tradimenti ma non al furto della sua berlina. Il personaggio interpretato da Sordi è quello di un marito inetto e nevrotico che in tempi moderni è stato riportato in auge da Carlo Verdone. La frase “A Jaguar mia!”, ripetuta a non finire da Sordi, diventa un tormentone giovanilistico. Il finale vede Sordi abbracciare l’automobile ritrovata e beccarsi un ceffone dalla moglie che ne ha abbastanza di non essere considerata. Molto intensa la colonna sonora (Erano giorni di Sergio Endrigo, pezzi di twist, Rita Pavone…), che negli episodi girati da Brass diventa ritmata e coinvolgente. La sigla di coda è di Armando Trovajoli, che scrive per Gianni Morandi l’intensa e romantica Per una notte no.
Paolo Mereghetti concede due stelle al film e afferma che Eritrea e Luciana sono una spanna al di sopra degli sketch in voga in quegli anni; il resto è routine. Paolo Graziosi nel volume Eva dopo Eva. La donna nel cinema italiano (Laterza, 1980) afferma: “L’assurdo domina incontrastato negli episodi girati da Brass: L’uccellino, dove un marito, per disfarsi dei garruli canarini della moglie, li impallina da una casa vicina, ma un giorno sbaglia la mira e uccide l’insopportabile consorte; e L’automobile, dove un uomo, lungi dall’angustiarsi per il tradimento della moglie, si dispera perché gli hanno rubato l’automobile. Brass, già lo si vide in Chi lavora è perduto, ha un’ottima tecnica, rapida e moderna”.
Il disco volante (1964) chiude il periodo giovanile di Tinto Brass che gira ancora una commedia con la coppia Sordi – Mangano, ma questa volta è un lungometraggio ispirato a un racconto di Ennio Flaiano. Sordi ricopre ben quattro ruoli che vanno dal prete, al brigadiere, passando per un nobile gay e un impiegato. La satira è tutta nelle sue mani, anche se Mereghetti (che concede due stelle) la reputa prevedibile e dice che il soggetto ricorda Un marziano a Roma di Ennio Flaiano. Il film non ha ancora avuto un’edizione in dvd che meriterebbe, ma è reperibile a prezzi esorbitanti una vecchia VHS. Il disco Volante è prodotto da Dino De Laurentiis, che sottopone la sceneggiatura di Rodolfo Sonego prima ad Antonioni e Monicelli, ma dopo il loro rifiuto si rivolge al giovane regista veneziano. Il film racconta, con stile a metà strada tra il documentaristico e la commedia televisiva, l’arrivo di un gruppo di alieni nella campagna veneta. Alberto Sordi dà vita a quattro caratterizzazioni che diventeranno cavalli di battaglia del suo repertorio: il prete ubriaco, il carabiniere tonto, il conte gay e il meschino borghese. Nel film compaiono anche Silvana Mangano e Monica Vitti, per la prima volta in un ruolo brillante. Ricordiamo la Vitti per un’inconsueta scena erotica in auto con Sordi, calze nere che si intravedono, una mano che risale le cosce, mentre lei pronuncia la frase tipicamente brassiana: “Dime porca che me piasi de più”. Un accenno al futuro Brass erotico, che potrebbe confermare la citata tesi di Bruschini e Tentori, per se a noi pare troppo poco. La rapida sequenza dimostra soltanto la grande maestria del regista veneziano con la materia erotica, naturale sbocco alla sua tecnica sopraffina. Il disco volante è una satira grottesca sulla provincia italiana, culturalmente arretrata, ma anche sulla mancanza di morale tra nobili e borghesi. Il disco volante non è un film di fantascienza, pure se l’argomento potrebbe annoverarlo tra i precursori di un genere che in Italia non avuto molta fortuna. Brass e Sonego utilizzano la fantascienza per mettere alla berlina vizi e difetti di un’Italia provinciale e delle sue classi sociali. Gli effetti speciali sonori e visivi nelle scene in cui compare l’astronave sono interessanti, ma basta soffermarsi sul costume dell’aliena con i seni di vetro e le giarrettiere per vedere in nuce la rappresentazione dei futuri interessi brassiani.
Tullio Kezich nel volumeIl cinema degli anni sessanta, 1962-1966 (Edizioni Il Formichiere) afferma: “La collaborazione di Brass con Sordi, passata attraverso i due episodi di La mia signora che sono appena due aneddoti, ha dato come frutto Il disco volante. Un film notevole che il pubblico non ha accolto con grande favore forse perché contiene un’amara verità. L’operetta ha un gusto voltairiano, una moralità rigorosa: i marziani scendono nella provincia veneta, addormentata da secoli, e nessuno vuol prendere seriamente atto del loro arrivo; i miserabili cercano di strumentalizzarli, di venderli per ricavarne dei soldi; i ricchi li fanno uccidere e gettare nel pozzo. I pochi ingenui che si ostinano a comunicare al mondo la loro scoperta finiscono al manicomio: un impiegato, un agente di polizia, un prete ubriacone, un nobile debosciato, tutti impersonati da un sorprendente e bravissimo Alberto Sordi. La morale è che il nostro mondo non è preparato ad accogliere rivelazioni di nessuna specie, che siamo troppo impastati d’ignoranza per capire ciò che va al di là dell’orizzonte quotidiano. Forse lo siamo al punto che non accettiamo, neppure sul tono dello scherzo, le ipotesi ironiche della fantascienza: ed è per questo che Il disco volante non ha avuto accoglienze migliori. Nelle forme di un cinema umoristico disimpegnato, aggressivo, pungente, Brass ha ancora parecchio da dire: e soprattutto ha una sua originalità di tratto e di espressione. Non tutti si sono accorti che Il disco volante è un film girato benissimo, con un uso anticonformista degli obiettivi e del montaggio, con una spiccata capacità di cogliere e fermare un clima provinciale nuovo per il cinema italiano”. Una recensione così positiva su Brass è davvero un’eccezione per Tullio Kezich, che non ama il lato erotico del regista, ma plaude alla sua vena umoristica.