Tomás Gutiérrez Alea, detto Titón, nasce a L’Avana l’11 dicembre 1928 e muore nella capitale cubana il 16 aprile 1996. È uno dei più importanti registi cubani del periodo rivoluzionario e compare tra i fondatori dell’ICAIC (Istituto cubano di arte e cultura cinematografica), nato nel 1959 e fortemente voluto da Fidel Castro come strumento per la diffusione della dottrina rivoluzionaria. Tomás Gutiérrez Alea studia musica dal 1943 al 1948, successivamente si iscrive al corso di laurea in Diritto presso l’Università dell’Avana assecondando la volontà della famiglia ma con scarso entusiasmo, perché la sua vera passione è il cinema.
Nel 1947 realizza in 8 mm due cortometraggi umoristici: Cappuccetto Rosso e Il fachiro, ma è l’anno successivo che segna il suo ingresso ufficiale nel mondo del cinema continuando a filmare cortometraggi umoristici e – su richiesta del Partito Socialista Popolare – un documentario (incompiuto) sul Movimento per la Pace. Nel 1949 partecipa alla realizzazione di un documentario sul Primo Maggio sempre voluto dal PSP. Collabora alla rivista universitaria Saeta, si distingue come presidente del Comitato per la Pace della Scuola di Diritto e segretario del Comitato Organizzatore del Terzo Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti che si svolge a Berlino.
Nel 1950 partecipa alla fondazione della Società Culturale Nostro Tempo, che raggruppa gli intellettuali di sinistra e filma in 8 mm, con attori non professionisti, il cortometraggio umoristico Una confusione quotidiana, basato sul racconto omonimo di Franz Kafka. Gutiérrez Alea si laurea in Diritto nel 1951, assecondando la volontà del padre, ma si trasferisce subito a Roma per studiare regia preso il Centro Sperimentale di Cinematografia, seguendo la sua vocazione. Si unisce a un gruppo di latinoamericani residenti in Italia che fondarono l’Associazione Associazione Latinoamericana e una rivista chiamata Voci dell’America Latina. Il regista cubano si perfeziona nella Settima Arte sotto la guida di Cesare Zavattini, subendo l’influenza del neorealismo italiano e della poetica zavattiniana del pedinamento.
Il neorealismo cinematografico nasce dopo la seconda guerra mondiale e consiste in un’analisi disincantata della realtà, un’interpretazione della vita senza svolazzi romantici. I film neorealisti non devono essere documentari, ma documenti di un’epoca girati da registi che provengono dalla scuola documentaristica. Cesare Zavattini è il teorico del movimento con il film inchiesta Amore in città e il successivo I misteri di Roma, ma fanno parte del neorealismo anche molti lavori di Rossellini, Antonioni, Maselli, Zurlini, Risi, Pontecorvo, Lizzani ed Emmer. Si tratta di un realismo all’italiana, di grande coscienza sociale, che guarda alla storia collettiva, mostra i partigiani, i reduci, le mondine e la povera gente che soffre.
“Bisogna scendere nelle strade, nelle caserme, nelle stazioni: solo così potrà nascere un cinema all’italiana”, scrive Leo Longanesi nel 1953 su L’italiano. Cesare Zavattini raccoglie la provocazione e sostiene la teoria del pedinamento, la macchina da presa che segue un uomo per strada e lo accompagna nei suoi incontri, filmando la vita quotidiana e creando la storia. Tutto può produrre cinema, secondo la teoria di Zavattini, non servono grandi eventi, ma la vita di tutti i giorni è la sola cosa che va trasformata in spettacolo per il grande schermo. “Dateci un fatto qualsiasi e noi lo sviscereremo fino a farne cinema”, afferma lo sceneggiatore di Miracolo a Milano.