Durante questo fine settimana, girando tra vari profili instagram mi è capitato di vedere con una certa frequenza l’hastag “#librianudo”. Mi ha dato di che riflettere perché tutto è nato dai pregiudizi che, citando la canzone omonima dei Peter Punk, sono “come un veleno che ti ottenebra la mente / schematici modelli come canoni di stile”. Un vortice di dita puntate che vanno a intrecciarsi come una ragnatela ai danni dei più deboli: Dalla foto iniziale di questa utente, criticata perché troppo scoperta subendo così frasi sessiste (Lei stava solo proponendo la graphic novel femminista “i’m every woman”, di Liv Stromquist), alle insicurezze fisiche di altri o semplice imbarazzo di chi legge romanzi rosa e viene additato, derisi o derise perché considerati “romanzetti da due soldi” complici magari le copertine con adoni dal fisico scolpito.
Senza considerare non solo l’impegno dello scrittore stesso nel scrivere un romanzo (che non è una passeggiata a prescindere), ma anche le forti emozioni che le stesse pagine trasmettono a chi vuole semplicemente evadere da un mondo sempre più colmo di umiliazioni e bullismo. Utenti stufi, carichi di rancore e che, con avidità ed esasperazione, in coro scrivono metaforicamente “basta” sulla tastiera. Con la stessa energia presente nella voce roca e rabbiosa di Kurt Cobain. Ovviamente ho partecipato anche io, non per seguire il trend e cavalcare l’ondata di like e follower per riflesso, quanto per sostenere solo col pensiero una giusta causa.
Questo perché, citando il post originale “tutti subiamo pressioni” e io, personalmente, non sono da meno. Nonostante il mio essere espansivo verso il prossimo tendo ad essere esagitato e nervoso come Tweek Tweak, il bambino caffeinomane di South Park. Ansioso e diffidente di base, vivo la mia vita con molta riservatezza per evitare quelle risate che, già ai tempi delle superiori, mi ferirono perché “non casinista come il resto della classe” o il triste clichè dei compagni più stolti “hai più amiche che amici, quindi…” solo perché so ascoltare e dare attenzioni a chi vuol’essere ascoltato (normale routine, per le persone educate).
Si sa, la lingua dei teenager sa essere più affilata di un coltello da macellaio e durante le classiche ore buca, mi fondevo tutt’uno con il mio walkman e un libro che mi portavo da casa, cercando quella pace interiore presente nel significato del mio nome di battesimo. Il libro che avevo proposto sul mio profilo, proprio per “mettersi a nudo”, è “Tutto quello che è un uomo”, di David Szalay. Citando la sovraccoperta: “Nove uomini, in diverse età della vita, dall’adolescenza alla vecchiaia. Un continente, l’Europa oggi -da Cipro alla Croazia, dalle Fiandre alla Svizzera-, fotografato in una luce cruda, quasi senza ombre. I nove fanno quasi tutte quelle cose che i maschi sono soliti fare: Inseguono donne, le abbandonano, tentano un affare improbabile, cercano un luogo dove vivere un esilio decente, chiacchierano, sognano un’altra vita. E se a ogni capitolo tutto -protagonista, ambiente, atmosfera – cambia, fin dal primo stacco le nove storie sembrano una sola.”.
Nel mio post ho giocato col titolo in questione mettendo a nudo i miei difetti comportamentali che mi tormentano da sempre e di conseguenza tutto quello che sono, nel bene e nel male. Leggendolo però, mi sono sentito stranamente sporco e nudo, con le carte scoperte. Sono certo che è capitato anche a tutti gli altri lettori. Questo libro mi ha ossessionato per mesi nel proporre sul web il mio punto di vista ma non ci riuscivo: ho trovato nei nove racconti molto, forse troppo di me, di noi uomini.
Troppe esperienze di vita e pensieri condivisi che tutt’ora oscillano dal puro piacere del momento al sentirsi una merda col classico “senno di poi”. Anche perché non siamo dei robot, siamo comunque esseri umani che si vivono di emozioni e di quelle cose, come scritto nella trama, che i maschi sono soliti fare (e che non osiamo mai rivelare, aggiungo). Frasi, dialoghi che hanno portato alla luce aspetti nascosti o di cui ero a conoscenza e che non ho mai portato alla luce, proprio per paura di mettermi a nudo e ricevere ulteriori critiche sul mio stile di vita.