Un grande e rigoroso critico della letteratura, Rettore magnifico per cinquant’anni dell’università di Urbino, firma autorevole e prestigiosa del Corriere della sera, senatore a vita, Carlo Bo nel 1938 pubblica un saggio la Letteratura come vita. Un illuminante e acuto saggio nelle cui pagine si tessono frammenti di pensieri e riflessioni fondanti una nuova e meravigliosa concezione della letteratura: «[forse essa è] la strada più completa per la conoscenza di noi stessi, della nostra coscienza».
Il 6 febbraio 1778 nasce il poeta e scrittore patriottico Ugo (il vero nome è Niccolò) Foscolo a Zante (Zacinto, isola Ionia della Repubblica Veneziana): «Zacinto mia, che te specchi nell’onde / del greco mar da cui vergine nacque / Venere …». L’origine greca e isolana segnano profondamente la vita e la poetica di Foscolo tanto nella ricerca e definizione del suo spirito libertario, quanto nel legame con il mondo classico.
Nella chiesa francescana più grande del mondo, nel pantheon fiorentino di Santa Croce c’è un monumento di marmo bianco che ritrae Foscolo nel pieno dei suoi anni e dei suoi furori, delle sue forze: bello, elegante, insofferente e smanioso. La poesia di Foscolo, osserva con acume Giulio Ferroni, nasce e si svolge sotto il segno della rivoluzione; essa è investita dal vento di libertà che percorre l’Europa alla fine del Settecento, dal rumore della violenza e delle guerre con cui Napoleone Bonaparte sconvolge gli equilibri europei. La poesia così, continua ad osservare Ferroni, vive la rottura e la disintegrazione degli antichi sistemi di valori, il nuovo anelito verso una libertà priva di confini e trova nel mondo classico, nella sua civiltà armoniosa e virile (espressa dal culto della bellezza, della patria, degli affetti familiari), il modello di una sdegnosa opposizione alla confusione disgregazione di fine Settecento ed inizio Ottocento.
La vita di Foscolo fu una vita di eccessi: a venti e a venticinque anni scrisse le due opere più importanti, caposaldo di tutta la letteratura ottocentesca (Le ultime lettere di Jacopo Ortis e Dei Sepolcri) eppure «fuggendo di gente in gente» morì in miseria nel gretto sobborgo di Chiswick accudito solo dalla figlia Floriana.
La poesia di Foscolo si trova a compiere una vera «archeologia» del passato classico (G. Ferroni). La sua poesia si offre come l’ostinato tentativo di una ricostruzione – scruta con sagacia Ferroni – che rimane inevitabilmente incompleta, la cui grandezza sta proprio nell’essere incompiuta, frantumata, aperta. Alla poesia e alle arti Foscolo «assegnava il fine di potenziare e far sentire all’uomo la vita, di un’interiore catarsi o di un’estetica educazione» (B. Croce)
Negli ultimi anni (1816-1827) della sua esule vita inglese Ugo Foscolo legge e studia in modo sistematico la Commedia di Dante. Oggi, i suoi resti mortali, riportati a Firenze nel 1871, non riposano all’«ombra dei cipressi» ma dentro un’urna custodita da una statua di marmo bianco, che lo ritrae nel pieno dei suoi anni e dei suoi furori, all’interno di quel perimetro ove il sommo poeta Dante Alighieri fece gli studi primari come allievo «esterno». La stessa tomba di Foscolo è «modello» intenso e profondo tra vita e letteratura.