Voglio fare una premessa doverosa. Sono amico di Giuseppe Maurizio Piscopo e abbiamo un sogno comune che forse un giorno realizzeremo. Ma nell’incertezza evito di rivelarlo. Accade che quando esce un nuovo lavoro mio o suo non vediamo l’orda di recapitarlo all’altro. Non per conoscere il giudizio ma per il piacere di condividere. Detto questo. Entro nel merito. Il Volume “Raccontare Sciascia” di Angelo Campanella e Giuseppe Maurizio Piscopo, edito da Navarra Editore di Palermo, è stato arricchito dal saggio introduttivo di Salvatore Ferlita, docente universitario di grande prestigio e fine intellettuale e impreziosito dall’ inserto fotografico di Angelo Pitrone. Il testo contiene due interviste a Giacomo Lombardo e Franco Nicastro e un QR Code per ascoltare il “Tema di Regalpetra”, brano inedito di Giuseppe Maurizio Piscopo che costituisce la colonna sonora del libro. Gli autori di questo testo vantano un curriculum di tutto rispetto ed è doveroso evidenziare i loro successi professionali e gli importanti traguardi che hanno raggiunto. Giuseppe Maurizio Piscopo (Favara 1953), maestro elementare, compositore e musicista, ha collaborato con Radio Rai Sicilia e scrive per diverse testate. Ha pubblicato tra l’altro Merica Merica viaggio verso il nuovo mondo con Salvatore Ferlita (Sciascia Editore, 2015), Sogni e Passioni (Medinova Editore, 2017), Le Avventure di Lino Panno (Qanat Editore, 2017), La maestra portava carbone con Salvatore Ferlita (Torri del vento, 2018), Il vecchio che rubava i bambini (Aulino Editore, 2019).
Angelo Campanella (Agrigento 1979) insegna Lettere nei licei. Ha pubblicato tra gli altri La lunga vita di Creonte Re (Youcanprint2011); Le avventure di Ulisse (Estero Editore 2013); Come gabbiani sull’acqua. Lampedusa tra due mondi (Estero Editore 2014, Premio Speciale “Buttitta” per la narrativa); il saggio di linguistica Toponimi agrigentino-nisseni tra cartografia e tradizione orale (Edizioni dell’Orso 2015); La scala nascosta. Il cyberbullismo nel mondo degli adolescenti (Estero Editore 2019). Quando ho chiesto a Giuseppe Maurizio Piscopo di svelarmi qualche curiosità su questo lavoro mi ha raccontato che, lui e Campanella, hanno iniziato a scrivere questo libro nell’agosto del 2020 a Racalmuto. A causa del distanziamento per il virus Covid 19 hanno continuato a scrivere a distanza, riuscendo comunque ad apportare le modifiche al testo e a migliorarlo bozza dopo bozza. Desidero iniziare questa recensione attraverso una citazione di Sciascia: “La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.” Trovo che questa frase riassuma il senso di quanto scriverò su questo meraviglioso libro. Gli autori Piscopo e Campanella sono riusciti a dare una nuova interpretazione della figura di Leonardo Sciascia, mettendo in luce i momenti più importanti e meno noti della sua vita.
Avvicinarsi a queste pagine significa esplorare la scrittura di uno dei più significativi intellettuali del Novecento, compiendo un excursus che viaggia lungo le tematiche fondamentali della produzione di Sciascia: la scuola, la mafia, la fede, il cinema, il teatro, la giustizia, le feste, i viaggi, la religiosità, la pittura, la fotografia, le speranze e i sogni dei siciliani. Presenti diversi spunti, aneddoti e rarità che vengono inseriti “ad hoc” per incuriosire non solo gli appassionati dello scrittore di Racalmuto, ma anche tutte quelle persone che non lo conoscono o che lo conoscono poco. Il libro è un importante strumento per introdurre lo studio di Sciascia nelle scuole, con un cospicuo corpus di testi proposti e degli spunti di approfondimento al termine di ogni capitolo, pensati per stimolare la riflessione degli studenti sulla produzione letteraria dell’autore e sugli argomenti che rappresentano il fulcro della sua narrazione, le problematiche universali dell’individuo come l’essere, la morte, la memoria, l’oltre. Da sociologo ho concentrato la mia attenzione su tutti gli aspetti legati alla società di quel tempo e, così come evidenziano gli autori, non si può non citare il celebre passo de Il giorno della civetta in cui il padrino mafioso Mariano esprime il suo rispetto per il protagonista del romanzo, il capitano Bellodi:
“Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo” Volendo avvicinare questo passo alla nostra realtà attuale direi che gli uomini sono quelli che mantengono gli impegni presi e si dedicano al raggiungimento degli obiettivi che si sono prefissati. I mezzi uomini non possiedono le doti etiche e morali dei primi, ma riescono a condurre a termine una parte dei loro incarichi e una parte dei loro doveri.
Gli ominicchi sono omiciattoli, uomini che valgono poco e il termine è allo stesso tempo un diminutivo e dispregiativo. Oggigiorno, ci accorgiamo di quanto il mondo sia pieno di ominicchi ossia asini vestiti con la pelle di leone, di memoria trilussiana, che giocano a fare gli uomini non ottenendo alcun successo. Purtroppo, lo notiamo sia nella nostra vita quotidiana e sia dallo spaccato della società che ci viene mostrato dai mezzi di comunicazione di massa. I “quacquaraquà” viene identificato sul portale Treccani “come voce siciliana, ma diffusa anche altrove, con cui si allude genericamente a chi parla troppo, quindi chiacchierone (e, nel gergo della mafia, delatore), o anche a persona alla cui loquacità non corrispondono capacità effettive, e perciò scarsamente affidabile”. Io li descriverei come poveri di valori e interessati ad ottenere benefici per sé stessi. Non vogliono vincoli e sono capaci di vendicarsi, come un branco di anatre all’assalto, visto il valore fonosimbolico del termine.
Gli autori sono riusciti ad unire in maniera impeccabile letteratura, storia e sociologia. In alcune parti del libro riesci ad avvertire la presenza viva di Sciascia che ti conduce nella sua ampia produzione letteraria e ti accompagna per mano negli anni in cui è vissuto. La capacità di scrittura di Piscopo e Campanella risulta essere coinvolgente, chiara, interessante e mai banale. La struttura comprende prosa e versi con l’inserimento di una bellissima poesia di Sciascia dal titolo: “I morti”. Il lessico è comprensibile e condivido il desiderio degli autori di far conoscere questo volume agli studenti delle scuole, perché lo adotterei senza alcun dubbio. La scuola è un luogo importante, un luogo dove si educano le nuove generazioni al rispetto delle regole, delle leggi e della morale. Infatti, proprio dalla scuola bisogna ripartire in questo momento così difficile che stiamo vivendo. Serve educare alle emozioni, ai sentimenti e quale migliore esempio se non Sciascia.
Ogni capitolo è corredato di citazione iniziale e spunti di riflessione finale. Espedienti davvero raffinati che diventano “l’hic et nunc” nello scorrere delle 144 pagine. Non nascondo la mia grande gioia nell’aver recensito questo volume, perché Sciascia è uno scrittore al quale sono profondamente legato. Infatti, nel mese di gennaio ho partecipato alla Maratona dal titolo: “Cento voci per i 100 anni”, organizzata da La Strada degli Scrittori. Ho avuto il piacere di conoscere Sciascia a Racalmuto, esattamente nel gennaio del 1985, ad un convegno sull’informazione locale del territorio, dove ho avuto l’onore di essere relatore e dove Sciascia era il protagonista indiscusso dell’evento. Uno scrittore straordinario che è stato definito in tanti modi né liberale e né comunista, ma irregolare ed estremamente civile perché si è sempre battuto contro la mafia e contro una certa antimafia. Un uomo che ha parlato della libertà di stampa e che ha ricordato proprio quel giorno, durante il convegno, come il giornalismo ha subito una certa deformazione. Ha parlato del sequestro Moro, ricordiamo pure il romanzo L’affaire Moro del 1978, e di come si era creata una sorta di “Minculpop”, Ministero della cultura popolare fascista, negli anni del sequestro Moro. Le notizie venivano rese in un certo modo a chi leggeva i giornali, guardava la televisione o ascoltava la radio. Insomma, una grande personalità che ho amato e che continuo ad amare per opere come: “Todo modo”, “Il contesto” del 1971 che mostra come nessuno sa cambiare l’Italia di quel tempo. Sciascia è stato davvero lungimirante nelle sue indagini sociologiche e con il romanzo “Il giorno della civetta” ha puntato alla denuncia e alla riflessione sui valori della legalità, sull’importanza del diritto e del rispetto verso gli altri. Sciascia meriterebbe molti più onori di quanti ne abbia già ricevuti per la sua universalità che lo rende tutt’oggi sempre estremamente all’avanguardia.
Mi complimento con gli autori e auguro a questo libro molta fortuna, perché sono riusciti a far emergere un ritratto di Sciascia che non tutti comprendono per lanciare un messaggio diretto e preciso ai lettori: l’onestà, la verità e l’incorruttibilità morale devono essere la base del vivere civile, così come Sciascia ci ha insegnato e così come Sciascia ha testimoniato con i suoi scritti