La relazione amicale, quasi fraterna, tra il protagonista de Il Gattopardo e padre Pirrone si sviluppa sul filo del pubblico e del privato. Questi sono a volte un principe e un prete, altre volte due uomini alla stregua di una Sicilia che non cambierà mai né loro né sé stessa. La malinconia metafisica di don Fabrizio, “immenso principe” e uomo solo sotto le sue stelle, non servirà a giustificare comportamenti fuori dalla legge cristiana cui tutti sembrano aver prestato giuramento solenne.
Dopo aver peccato nel bordello palermitano, il principe dovrà confessarsi come chiunque altro in città. Non ha alcun potere contro la volontà del buon pastore, all’occorrenza amico, ma non quando si tratta di far rispettare il sacramento della confessione. E in altre occasioni il potere del principe verrà messo in discussione. Non conta ciò che prova, ad esempio, quando il soldato morto nel suo giardino “porta’” la storia della nazione nella storia del romanzo. “Il soldato è morto per il Re, che difende la Chiesa” sentenzierà il prete, e nessuno oserà contraddirlo.
Padre Pirrone riceve le prime informazioni sulle azioni politiche imminenti, sull’arrivo dei piemontesi per l’annessione, e così via. Privilegiato l’uomo di Chiesa rispetto all’uomo comune. E sembra che dalle sue azioni dipenda il destino degli altri personaggi mentre giocano a vivere la propria vicenda, sempre con il consenso del rappresentante della Chiesa, il quale ha l’incarico di controllare che “tutto rimanga com’è se vogliamo che tutto cambi”, una legge incontestabile, leitmotiv del romanzo, sintesi della mentalità siciliana vittima della rassegnazione cattolica.
In fondo, la Chiesa sa benissimo che Napoli o Torino sono la stessa cosa per i siciliani, impermeabili, attaccati al loro “non fare”. L’importante è che lei (la Chiesa) resti sempre con il più forte. E tutti sappiamo che il popolo, raramente ha dimostrato di essere il più forte. I siciliani, per esempio, “sono almeno venticinque secoli” che “portano sulle spalle il peso di magnifiche civiltà, tutte eterogenee, nessuna però germogliata da loro stessi”.
Un’immagine che ritrae padre Pirrone assorto nei suoi “calcoli algebrici,” servirà forse a descrivere meglio il suo carattere: “aveva l’aspetto sereno del sacerdote che ha dato messa e mangiato biscotti di mandorle”. Calcoli algebrici può significare conti, soldi, offerte raccolte in parrocchia dopo la messa? Riguardo ai biscotti, poi, basta andare ancora oggi nella frazione siciliana di Palma di Montechiaro (Donna Fugata nel romanzo) per scoprire che si tratta di una delle prelibatezze tipiche del posto. Una specialità per buongustai. Lui lo sa bene, mentre spiega al principe che esiste una differenza tra confidenza e confessione.
Padre Pirrone confessa di essere preoccupato per un aspetto in particolare riguardo all’annessione della Sicilia: la perdita dei propri beni, ehm, cioè di quelli dei suoi fedeli. Il padre diventa nella narrazione “l’infelice padre”, dimostrando che la Chiesa del 1860 (o quella del 1960) penserà sempre a salvare prima sé stessa e poi le sue pecorelle. La Chiesa sarà sempre fedele alleata dello Stato, lo accompagnerà per mano. In cambio lo Stato renderà il favore. Sarà infatti grazie al generale in visita a Palermo che l’ordine di espulsione per padre Pirrone non verrà applicato, “il che fece ancor più convincere don Fabrizio delle sue previsioni”.
Nel romanzo non si lascia spazio all’immaginazione, ogni sfarzo, ogni dettaglio è risaltato dalla narrazione barocca che si arricchisce di descrizioni eleganti, lussureggianti, soprattutto quando si tratta di architetture, di affreschi, degli ori che adornano le colonne del duomo. Il duomo “stipato di gente curiosa”, tutti inginocchiati davanti all’altare, ancora una volta. Sotto la mano caritatevole del Signore, tutti sono uniti, sindaco, arciprete, notaio, non importa cosa frulli nella loro testa. Ciò che conta è che il matrimonio di Tancredi e Angelica si celebri arrecando meno danni possibile.
Il matrimonio, Angelica, forse la vera protagonista. Quando la ragazza sussurra “zione” all’orecchio del principe, il lettore pende da quel sospiro e si chiederà che sapore ha il suo alito, che odore ha la sua pelle, con quale intensità quelle tre sillabe, zi-o-ne, riusciranno a racchiudere un’intera storia, mentre “l’inesorabile declino del principe ebbe inizio”.
E alla fine, la Chiesa, da buona calcolatrice, tirerà le somme e valuterà le reliquie religiose in casa Salina. Le statue di valore sono tutt’oggi ammirabili nel monastero delle benedettine (Chiesa Madre nel romanzo). “Tutto è cambiato, e, allo stesso tempo, tutto è rimasto com’era”.