Il 7 marzo 1785 nasce a Milano Alessandro Manzoni. Sua madre è Giulia Beccaria, figlia di Cesare, il famoso autore Dei delitti e delle pene, sposata controvoglia con il conte Pietro Manzoni, un ricco possidente del lecchese, assai più anziano di lei. Alessandro nasce dopo due anni e mezzo di matrimonio, ed è fondato il sospetto che fu il frutto di una relazione extraconiugale con il più giovane dei fratelli Verri, Giovanni.
Alessandro Manzoni ha sette anni quando i genitori si separano. La madre va a Parigi e diventa la compagna di Carlo Imbonati, che ha avuto come istruttore Giuseppe Parini. Alessandro resta affidato al padre e trascorre dieci anni in collegio prima presso i padri Somaschi a Merate, in Brianza, e poi a Lugano, infine a Magenta e a Milano dai Barnabiti.
Nel 1805 il giovane Alessandro Manzoni si trasferisce a Parigi, la capitale della Rivoluzione e dell’Impero napoleonico. Nel 1806 scrive il carme In morte di Carlo Imbonati, dedicato al compagno della madre, morto il 15 marzo 1805, a cinquantadue anni, forse il padre che Alessandro Manzoni avrebbe voluto avere e che non ha avuto. In morte di Carlo Imbonati è una poesia in cui Imbonati gli appare in visione per dargli consigli di vita (vv. 207-215):
«Sentir […] e meditar: di poco
esser contento: da la meta mai
non torcer gli occhi, conservar la mano
pura e la mente: de le umane cose
tanto sperimentar, quanto ti basti
per non curarle: non ti far mai servo.
Non far tregua coi vili: il santo Vero
mai non tradir: né proferir mai verbo
che plauda al vizio, o la virtù derida»
Due anni dopo la morte del padre incontra la ginevrina Enrichetta Blondel, di confessione calvanista, che sposa entro pochi mesi. La data significativa è il 1810 quando entrambi si convertono al cattolicesimo. « Il ritorno alla fede fu, per il Manzoni l’inizio di un processo di revisione interiore da cui uscirono trasformate o vivificate tutte le sue convinzioni di uomo e di intellettuale, sicché in lui evoluzione interiore e costituirsi di una nuova poetica furono un fatto solo, vissuto con una coerenza severa quanto rara: il passaggio dal neoclassicismo a un pensoso romanticismo coincise con l’inveramento dei suoi ideali giovanili nella conquista della fede; la maturazione intellettuale si intrecciò con la maturazione morale; e convinzioni culturali, credi religiosi, molti del sentimento, tendenze di poetica, sì trovarono strette in un fascio solo, in un sistema razionale e organico» (Giuseppe Petronio, L’attività letteraria in Italia, p. 611)
Il 18 giugno 1815 Napoleone è sconfitto nella battaglia di Waterloo. Nel 1816 comincia Il conte di Carmagnola
Il 1821 è un anno di intensa e fervida attività creativa: lavora all’Adelchi, scrive le due odi Marzo 1821, comincia, il 24 aprile 1821, il manoscritto noto come Fermo e Lucia, una prima «versione» de I promessi sposi che saranno pubblicati, una prima volta, nel 1827 e una seconda volta, a dispense illustrate da Francesco Gonin, fra il 1840 ed il 1842 (con in appendice la Storia della colonna infame) dopo una lunga revisione di carattere soprattutto linguistico; scrive tumultuosamente e con intensa commozione, fra il, 18 e il 20 luglio, Il cinque maggio (ritrascritto compiutamente il 26 luglio 1822) che Goethe – un ammiratore appassionato di Manzoni – decide di tradurre in tedesco
Ei fu. Siccome immobile
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Nel 1822 pubblica l’Adelchi, la più alta tragedia italiana del primo Ottocento. È nei cori, lo «spazio», il «cantuccio» ove Manzoni commenta gli avvenimenti messi in scena:
Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
dai solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta,
intende l’orecchio, solleva la testa,
percosso da novo crescente romor.
[…]
Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l’antico,
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha
(Adelchi, il coro dell’atto III, 1-6; 61-66).
Tra il giugno del 1817 e i mesi di ottobre, novembre del 1822 scrive a più riprese e porta a termine La Pentecoste, l’ultimo degli Inni sacri, dei quali compose solo i primi cinque dei dodici progettati (Il Natale; La Passione; La Resurrezione; Il nome di Maria; La Pentecoste; di un sesto, L’Ognissanti, resta solo uno splendido frammento):
Madre de’Santi; immagine
della città superna,
del Sangue incorruttibile
conservatrice etern;
tu che, da tanti secoli,
soffri, combatti e preghi;
che le tue tende spieghi
dall’uno all’altro mar;
[…]
Noi T’imploriam! Nei languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
aura consolatrice:
scendi bufera ai tumidi
pensier del violento
[…]
Tempra de’baldi giovani
Il confidente ingegno;
reggi il viril proposito
ad infallibil segno;
adorna la canizie
di liete voglie sante;
brilla nel guardo errante
di chi sperando muor.
(da La Pentecoste, vv. 1-8; 113-118; 137-144)
Nel 1827 Manzoni soggiorna a lungo a Firenze per «risciacquare i panni in Arno», ossia per trovare una cifra unitaria alla lingua de I promessi sposi.
I promessi sposi sono uno straordinario ritratto del Seicento, il secolo della crisi. Manzoni compie una scelta geniale: finge di riprodurre un manoscritto del’ 600, spesso cita anche l’anonimo immaginario autore. Manzoni individua nella Lombardia spagnola del Seicento, nell’«Italia» spagnola seicentesca una parabola, un emblema del rapporto tra gli umili ed il potere, un potere arrogante e violento. In questo capolavoro risulta evidente un «quadro composto dalle deboli istituzioni spagnole, della violenza rissosa dei signorotti di provincia e la grande istituzione, che da sola dà fiducia, quella della chiesa ambrosiana incarnata dai Borromeo» (Amedeo Quondam):
L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia
(dall’Introduzione / trascrizione d’un manoscritto del Seicento)
[…]
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli,
(dal Capitolo I)
[…]
Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse;
(dal Capitolo IV)
[…]
«Che sciocca curiosità da donnicciola,» pensava, «m’è venuta di vederla? … uno non è più uomo… Cos’è stato? che diavolo m’è venuto addosso? che c’è di nuovo? […] il tormentato esaminator di sé stesso … si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita … di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva … con una mostruosità che que’ sentimenti non avevano allora lasciato scorgere […]
(dal Capitolo XXI)
Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.
(dal Capitolo XXXVIII)
Nel 1830, in Francia, è pubblicato Il rosso e il nero di Stendhal che inaugura la stagione del grande romanzo realistico e va in scena l’Ernani (Hernani) di Hugo; nei primi anni del 1830 sono pubblicate le più famose e forse più perfette opere di Balzac quali l’Eugénie Grandet e Le père Goriot.
Nel 1833 Manzoni resta vedovo. Nel 1835 sposa Teresa Borri. Nel corso della sua vita don Lisander perderà, oltre alle due mogli, otto dei dieci figli.
Nel 1848 scoppiano in tutta Europa rivolte contro le potenze della Restaurazione. A Milano, tra il 18 e il 22 marzo, esplodono le «cinque giornate».
Tra il 1830 e il 1859 lavora all’incompiuto trattato Della lingua italiana. Constatata l’inesistenza di una vera lingua italiana, Manzoni riconosce a tutti i dialetti la dignità di lingue; dovendosi però, per esigenze pratiche, adottare in Italia uno strumento linguistico unitario, proponeva che si scegliesse il dialetto che aveva la maggiore autorità culturale, vale a dire il fiorentino, ma non il fiorentino degli scrittori classici, bensì dell’uso vivo, il solo in grado di rinnovarsi e quindi di soddisfare le esigenze della società italiana di allora. Nel 1862 è nominato presidente della commissione per l’unificazione della lingua. Alla lingua è affidato il compito di superare il «tristo divorzio» fra letterati e popolo; deve essere concepita come una «totalità di segni prodotta da una totalità di relazioni, quale esiste, per effetto naturale, in una popolazione riunita e convivente» (da Della lingua italiana)
Manzoni trascorse gli ultimi anni della sua vita onorato e rispettato come il massimo scrittore italiano vivente. Fra i suoi contemporanei Manzoni è un’autorità indiscussa e la sua intera biografia è costellata di contatti e scambi di opinione con tutti i più grandi poeti, artisti, intellettuali italiani e europei. Nel 1861 viene nominato senatore a vita.
Il 28 aprile 1873 gli muore il figlio Pietro; il 6 gennaio, forse per il ghiaccio, Alessandro Manzoni, dopo aver preso parte alla messa scivola sui gradini della chiesa di san Fedele picchiando violentemente la testa; il 22 maggio 1873 – quest’anno celebriamo i 150 della sua morte- si spegne a Milano, per un ematoma subdurale da trauma contusivo del capo (S.S. Nigro, Manzoni, Laterza, p. 7). Il 29 maggio gli si tributano solenni funerali, alla presenza del futuro re Umberto I. Il 22 maggio 1874, nell’anniversario della sua scomparsa, nella chiesa di san Marco a Milano, Giuseppe Verdi esegue e dedica alla memoria di Alessandro Manzoni la Messa da Requiem, una delle composizioni più grandi di tutta la Storia della Musica.