“Una piccola bagattella”: di un “filo” troiano nella storia dei Promessi Sposi

Articolo di Michele Armenia

“Se non c’è altro….! ” interruppe Agnese. “ Avrebbe dovuto parlar più chiaro, o chiamar me da una parte, e dirmi cosa sia questo… ”

“Chiacchiere! la finirò io: io la finirò! ” interruppe Renzo (Promessi Sposi, VII)

“Iamque tibi, ne vana putes haec fingere somnum, litoreis ingens inventa sub ilicibus sus triginta capitum fetus enixa iacebit, alba solo recubans, albi circum ubera nati (AEneis, VIII, 42-45).

Alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano dell’altra riva, sparso di paesi, e al di là i colli, e sur uno di quelli una gran macchia biancastra“ (…):” è Bergamo, quel paese? ”

“ La città di Bergamo, ” rispose il pescatore. (Promessi Sposi, XVII)

‘O sate gente deum, Troianam ex hostibus urbem qui revehis nobis aeternaque Pergama servas, exspectate solo Laurenti arvisque Latinis, hic tibi certa domus, certi ne absiste penates. (Æneis, VIII, 36-39)

Il 24 aprile del 1821 (or sono duecento anni) Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni comincia a (tra)scrivere il suo opus maximum, traendone la “storia” (“bella, come dico; molto bella”) da un ” dilavato e graffiato autografo” secentesco di autore anonimo (secondo una fictio che risale al Cervantes e trova da ultimo puntello in Walter Scott). La data d’ inizio, che il Nostro non si perita di apporre all’ autografo ottocentesco, ora serbato in Braidense, potrebbe non essere casuale, come non casuale abbiamo cercato di dimostrare1 quella iniziale della passeggiata di don Abbondio (7 novembre), allorché questi si imbatte nei bravi di don Rodrigo che, come un lampo a ciel sereno (“tornava bel bello dalla passeggiata verso casa”), gli intimano di non celebrare l’ imminente matrimonio tra Renzo (Fermo nella prima minuta) e Lucia (“Ragazzacci, che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro” sarà il suo commento spiazzato).

Parrebbe infatti legata al mito troiano (se fosse confermata la conoscenza, per giorno e mese, di tale datazione, che circola come tradizionale per la caduta di Troia nell’anno 1184 a. C., da parte di Manzoni), recepito scolasticamente per il tramite di Virgilio e poi rinforzato dai poemi omerici, di cui il suo grande amico e mentore Vincenzo Monti tradusse e pubblicò , con duraturo successo, l’ Iliade, un decennio innanzi l’ inizio dell’ avventurosa odissea compositiva del Romanzo (1821 – 1840/2) o, se si preferisce, dei romanzi (almeno tre semplificando : prima minuta o Fermo e Lucia, seconda minuta o Sposi Promessi poi Promessi Sposi o Ventisettana, Promessi Sposi illustrati o Quarantana). Il mito di Troia alimentò di certo la fantasia del ragazzo, se non del bambino, Manzoni: n’è teste un suo frammento poetico di dodicenne (al pari di Menico), come esercizio “virgiliano” alla scuola dei Somaschi di Lugano (frequentata dall’ aprile 1796 al marzo 1798), conservatoci da un suo compagno che lo ebbe “in cambio di pane” : come non pensare alla centralità nel romanzo del cosiddetto “pane del perdono”, che fra Cristoforo riceve, in parte conserva e infine consegna a Renzo e Lucia, con chiara pregnanza cristologica, al modo quasi di un Ettore che affidi i Penati a Enea. Anche Menico d’altronde “partecipa” all’ultima notte di Troia nei “panni” di Iulo; del figlio di Enea, infatti, Pascoli “ode”, nei “passini frettolosi” di Menico durante “la notte degl’imbrogli e de’ sotterfugi”, i passettini impari, al seguito del padre, durante la fuga da Troia “incensa” come narrata nel poema virgiliano: “sapete donde io sento che echeggiano i passini frettolosi di Menico? Dalla più grande e famosa città dei miti, dalla città degli Dei, da Troia, nella sua ultima notte.” 2

Ecco il frammento poetico del Manzoni giovinetto, titolabile “L’incendio di Troia” (1797) : […] Destrier si formi, e sia ben vuoto in mezzo, dentro poniamvi quanti mai vi possano soldati star[…] 3

C’è un io lirico (Ulisse?) che si identifica coi Greci ascondituri nel ventre cavo dell’ equus, in attesa di poter espugnare la città, tutto tacendo nell’ ora notturna : sembrerebbe dunque parteggiare contra Troiam, pro obsidentibus; a meno che la Troia da espugnare non fosse, per il giovanissimo e insofferente discepolo, la ferrea e speciosa disciplina di pedagoghi tirannici e della medesima istituzione collegiale : “Il genero Giovan Battista Giorgini, in una lettera del 1876, a Carlo Magenta di Pavia, ricorda: «Degli anni passati in collegio, e di sé bambino, il povero papà non poteva parlare senza un accento di compassione.

Quelle mura squallide e nude dei dormitori, quell’aria fredda e tetra delle sale e dei corridoi, quella sorveglianza sospettosa, quel piglio burbero dei maestri, quel fare zotico degli inservienti, quelle nerbate, quelle tirate di orecchi, gli tornavano ben sgradite alla mente negli ultimi anni, e gli rendevano spiacevoli quelle memorie […] E più che mai gli dispiaceva il ricordo degli effetti che quel sistema di educazione produce nell’animo dei giovani: quel misto d’odio e di paura che fa le veci del rispetto; quella necessaria mancanza di sincerità […] quella ribellione continua dello spirito».” 4

Ne risalta un apparente ribaltamento della ragione e del torto, rispetto al racconto di Enea contra equum, come durante il matrimonio a sorpresa riguardo la posizione dei nostri eroi, rispetto a don Abbondio, che l’autore non può fare a meno di segnalare: “In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.” (Cap. VIII)

L’ apparenza può ingannare, ma il cinico disincanto del conte zio lo dà per certo, nel suo colloquio con il padre provinciale dei Cappuccini , nei riguardi di fra Cristoforo : “Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secolo, le cosette che ha fatte in gioventù.”

“È la gloria dell’abito questa, signor conte, che un uomo, il quale al secolo ha potuto far dir di sé, con questo indosso, diventi un altro. E da che il padre Cristoforo porta quest’abito…”

“Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo; ma alle volte, come dice il proverbio… l’abito non fa il monaco.” (Cap. XIX)

Anche Manzoni , come Dante, sembra assumere Virgilio a propria “guida”, tramando sottilmente del di lui poema il tessuto in apparenza secentesco della propria “storia”, a partire dal celebre passo dell’apparizione di Ettore “in somnis” che invita Enea alla fuga da una Troia non più difendibile, affidandogli i Penati col compito di rifondare una città “fatale” in Occidente (come sarà chiaro in seguito), nella terra saturnia del Lazio, ove Enea giungerà dopo sette anni alla foce del dio-fiume Tevere, il cui ruolo nei Promessi Sposi sembra trasferirsi all’ Adda: il suo “rumore”, nella defatigante fuga da Milano, “fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore”, la quale climax ci invita con ogni evidenza a una sua divinizzazione in senso cristiano. L’eroe troiano gli si presenta in sogno “maestissimus” “e in lagrime disciolto (…) con la barba incolta, con lordo il crine d’aggrumato sangue, segnato dalle innumeri ferite onde fu rotto intorno ai muri d’Ilio” 5: pare quasi di vederlo, in forma metaforicamente rarefatta, in quel “dilavato e graffiato autografo” che ci appare tout court a inizio d’ opera come un φάσμα che voglia affidare al suo Enea /Manzoni una “storia” da rifare altrove, in altra lingua, complice uno scarabocchio, un grumo di sangue/inchiostro che rende illeggibile/inguardabile il corpo/testo irrimediabilmente “mutatus”.

Anche l’incipit della narrazione nel suo attacco sembra debitore del poema virgiliano : “Quel ramo… di Como” echeggia forse da “ille (aureus) ramus” che l’eroe esule individua in quel di Cuma tramite le colombe materne e strappatolo può accedere ai campi elisi dal padre Anchise, che gli mostrerà la futura discendenza della gloria romana, non senza che prima Enea affronti, come i nostri eroi, i “guai” degli scontri coi popoli laziali e i relativi travagli. Nel romanzo, più semplicemente, Renzo ritroverà nel Bergamasco il cugino Bortolo, che nella prima minuta sembra rivestire un ruolo paterno nei confronti di Fermo, poi sfumato nelle successive redazioni (ove tale ruolo sarà assunto nell’inferno del lazzaretto da fra Cristoforo), col quale comprerà un filatoio che, dopo tanti guai, consentirà , al fine, a Renzo e Lucia di trovare una stabilità familiare allietata da varie creature dell’uno e dell’altro sesso : “fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l’avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte”(Cap. XXXVIII), conclude l’autore/Enea letterario (o di primo grado, mentre Renzo è l’Enea/personaggio di secondo grado).

Se la data apposta sulla prima pagina del Fermo (24 aprile) potrebbe alludere all’inizio della vicenda di Enea, caduta Troia, quella finale del 17 settembre invece potrebbe alludere dopo l’arrivo nella terra promessa alla fondazione di una città : la storia ci dice che il 17 settembre del 1630 fu fondata Boston negli Stati Uniti da quei padri pellegrini esuli dalla madrepatria inglese che sembravano rinnovare negli eventi di realtà, coincidenti cronologicamente con quelli verisimili del romanzo (in tal caso del “Fermo e Lucia”), l’antica vicenda eneadica che dunque il nostro autore/Enea di primo grado ritrovava, oltre che in un autografo “ferito” apparsogli come in sogno, anche nelle ferite reali degli eventi umani, che la “Storia della colonna infame” non mancherà di testimoniare e che vedeva, di contro, nella fondazione di una nuova città (senz’ altro la più classica culturalmente) del nuovo mondo un prolungamento spaziale e temporale verso occidente di quei troiani che scamparono all’eccidio come i padri pellegrini alle persecuzioni religiose 6: “Chi domandasse se non ci fu anche del dolore in distaccarsi dal paese nativo, da quelle montagne; ce ne fu sicuro (…). Ma, già da qualche tempo, erano avvezzi tutt’e tre a riguardar come loro il paese dove andavano. Renzo l’aveva fatto entrare in grazia alle donne, raccontando l’agevolezze che ci trovavano gli operai, e cento cose della bella vita che si faceva là. Del resto, avevan tutti passato de’ momenti ben amari in quello a cui voltavan le spalle; e le memorie triste, alla lunga guastan sempre nella mente i luoghi che le richiamano. E se que’ luoghi son quelli dove siam nati, c’è forse in tali memorie qualcosa di più aspro e pungente. Anche il bambino, dice il manoscritto, riposa volentieri sul seno della balia, cerca con avidità e con fiducia la poppa che l’ha dolcemente alimentato fino allora; ma se la balia, per divezzarlo, la bagna d’assenzio, il bambino ritira la bocca, poi torna a provare, ma finalmente se ne stacca; piangendo sì, ma se ne stacca.” (Cap. XXXVIII). Fatto sta che “la picciola colonia prosperò nel suo nuovo stabilimento, col lavoro e con la buona condotta” ci informa il Fermo nel finale senza fine di una storia che si ripete e che Manzoni avrebbe visto forse anche negli eventi odierni, giusto il monito di fra Cristoforo ai futuri sposi consegnando loro il pane del perdono: “serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino, anche loro, per il povero frate! “. Invito che anche Papa Francesco, grande estimatore del romanzo manzoniano, siamo certi sottoscriverebbe, “figura” ultima, egli, di un’ecclesia/umanità pellegrina.

1 https://diacritica.it/…/quel-ramo-quella-roma-come…

2 https://it.wikisource.org/…/Eco_d%27una_notte_mitica

3 Alessandro Manzoni, Tutte le poesie, a cura di Gilberto Lonardi, Marsilio, Venezia, 2° ed. 2001.

4 citato in Alessandro Manzoni, Luoghi e volti familiari, a cura di Jone Riva, Bulgarini, Firenze 2014).

5 trad. G.Vitali , Ist. Ed. Cisalpino, Varese, 1930.

6 Sul giudizio positivo dato da Manzoni riguardo la rivoluzione americana e dunque sulla sua conoscenza dei fatti relativi, si veda Alice Crosta, Manzoni e la rivoluzione degli Stati Uniti in L’ Analisi Linguistica e Letteraria, Univ. Cattolica del Sacro Cuore, Milano (Anno XXIV – 1/2016). La sua conoscenza con lo storico americano Bancroft all’ altezza della composizione del Fermo, testimoniata dall’epistolario, ci rassicura sulla plausibilità della nostra ipotesi esegetica).


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