Erano i tempi che si facevano i film western ispirati alla poesia epica classica, ché Una pistola per Ringo ricorda l’Iliade mentre il successivo Il ritorno di Ringo riporta alla memoria l’Odissea. Non sono il primo ad averlo detto, lo so bene, ma ogni volta che rivedo questi capolavori permeati di ironia e azione, oltre a elementi amorosi e comici, resto allibito di fronte alla grandezza dei nostri autori del passato, onesti artigiani che facevano il genere. Tra l’altro è il primo film con protagonista un pistolero di nome Ringo, cosa che fa nascere una moda, ché Ringo lo rivediamo nel 1966 con Il ritorno di Ringo – forse sequel forse no, ma che c’importa? – che non presenta elementi in comune con il precedente, se non la volontà di replicarne il successo sfruttando il nome del protagonista. Avrebbe dovuto essere L’Odissea dei lunghi fucili, ma Il ritorno di Ringo faceva comunque pensare a Ulisse che torna a casa per vendicarsi e riprendersi moglie e figlio. In definitiva qualcosa in comune i due film ce l’hanno, a parte Giuliano Gemma ed Ennio Morricone, diciamo che è presente in entrambi il richiamo a un’opera omerica. Una pistola per Ringo è la storia di un assedio a un gruppo di banditi rifugiati in una fattoria, sconfitti solo grazie a un cavallo di Troia come Ringo (Gemma) che s’infiltra tra i banditi fingendosi uno di loro. Fa tutto Duccio Tessari, dal soggetto alla sceneggiatura, passando per una regia ispirata, mentre la fotografia spagnola (siamo in Almeria ma dovrebbe essere il confine con il Messico) è di Francisco Marin e la stupenda colonna sonora del grande Ennio Morricone. Montaggio di Luca Quaglia, mentre produce Luciano Ercoli – regista interessante di tre titoli noir – marito di Nieves Navarro (in arte Susan Scott), ottima nella parte di Dolores, donna del bandito che fa innamorare Antonio Casas (Clyde), padrone della fattoria dai modi galanti. Produzione italo – spagnola, come se ne facevano molte in quel magico periodo, quando noi ragazzini piombinesi aspettavamo Ringo al varco del cinema Sempione, tempio delle terze visioni d’una provincia metallurgica. Questo film e il successivo li ho visti nel 1968 e nel 1969, al passaggio in sala economica con sedili di legno, tra piogge di bucce di semi e grida a non finire quando si spezzava la pellicola. Giuliano Gemma (doppiato da Adalberto Maria Merli) si beccava i nostri applausi, Fernando Sancho i fischi (si chiama Sancho anche il suo personaggio), al tempo Nieves Navarro c’interessava poco – le scene d’amore rallentavano l’azione -, Hally Hammond pure, nemmeno sospettavamo che si chiamasse Lorella De Luca e che fosse più italiana di noi. Non eravamo cinefili, proprio no; Ennio Morricone era uno dei tanti che metteva la musica nei film e gli attori spagnoli come Antonio Casas e Josè Manuel Martín mica li conoscevamo. Ringo sarebbe tornato spesso nei nostri sogni, non sempre con il volto di Giuliano Gemma, spesso diretto da registi minori, magari contro Sartana e Django, senza rispetto per la continuità e per il copyright, ma erano tempi eroici, non ci si faceva troppo caso. Simonelli e Carnimeo portarono al cinema nei panni dei due figli di Ringo persino Franco e Ciccio. Era il segnale del successo. Per noi una festa infinita.
Paese di Produzione: Italia, Spagna, 1965. Durata: 94’. Genere: western. Regia: Duccio Tessari. Soggetto e Sceneggiatura: Duccio Tessari. Fotografia: Francisco Marin. Montaggio: Lucia Quaglia. Musiche: Ennio Morricone. Direttore Musiche: Burno Nicolai. Scenografie e Costumi: Carlo Gentili. Produttori: Luciano Ercoli, Alberto Pugliese. Case di Produzione: Produzioni Cinematografiche Mediterranee (Italia), Producciones Con. Cas Balcazar (Spagna). Distribuzione (Italia): Cineriz. Interpreti: Giuliano Gemma (Ringo), Fernando Sancho (Sancho), Hally Hammond (Ruby Brown), Nieves Navarro (Dolores), Antonio Casas (Clyde Brown), José Manuel Martín (Pedro), George Martin (Dan), Pajarito (Timoteo), Juan Cazalilla (Jenkinson), Pablito Alonso (Chico), Nazzareno Zamperla (David), Paco Sanz (il colonnello), Jose Haluifi (un bandito).