Un appello sentito e rivolto a tutti i Consigli degli Ordini degli Avvocati d’Italia mi sento di farlo. Leggo la riforma c.d Cartabia e leggo i commenti che vengono fatti da illustri professori e mi pongo una domanda: ma l’avvocatura esiste? Esiste ancora una avvocatura capace di svolgere un ruolo sociale che significa avere un peso politico di direzione della Giustizia ? Io ritengo che dal letargo in cui l’avvocatura è caduta (ormai da anni) occorrerebbe farla rinascere, risvegliare, in una parola: risorgere. Difficile pensare ad una possibilità di risveglio migliore di una analisi sugli effetti pratici, sia nel civile e sia nel penale, di tale riforma impropriamente denominata “Cartabia”. Cerchiamo di osservare l’insieme della riforma: quali sono i punti di principali della stessa. Orbene, la riforma (nel penale) si presenta come una “amnistia ed indulto” mascherati e come una “abdicazione” all’esercizio dell’azione penale anche in presenza di reati molto gravi e di allarme sociale. Nessuno lo vuole dire, ma è quanto può apprendersi da una lettura sistematica del diritto sostanziale e di quello processuale. Noi lo diciamo perché non abbiamo obblighi di “casta”, di “schieramento”, di incarichi o di istituzioni; ci caratterizza la libertà del pensiero e dell’azione e del ragionamento complessivo.
Prevedere una procedibilità a querela di reati molto gravi (come il sequestro di persona) equivale ad un abbassamento della soglia di tutela del cittadino (vittima) di tali reati; questo l’ordinamento non se lo può permettere e il legislatore ha legiferato in malo modo. Significa, in definitiva, non avere più processi per determinati reati ( o limitarli grandemente). Significa una amnistia/indulto strisciante spacciato come “velocizzazione del sistema” che in realtà si concretizza in una diminuita difesa dai reati di fascia A. La verità è una sola: si vuole ridurre i tempi del processo non intervenendo sui reati minori, ma intervenendo su reati gravi che sono rimessi alla volontà del cittadino. Il cittadino rimasto vittima di sequestro di persona deve decidere se fare querela contro colui che lo ha sequestrato (?); riteniamo questa una aberrazione. Siamo alla illogicità giuridica ed all’abdigazione del ruolo pubblico dello Stato. Tutto questo non è “velocizzare” il sistema, questo è eliminare i reati gravi e ciò è intollerabile oltre che illegittimo. Peraltro, questo atteggiamento illogico ha a lungo un effetto di allontanamento ulteriore del cittadino dal mondo della giustizia con conseguenze difficilmente immaginabili.
In “soldoni” e senza tanti giri di parole non si può“velocizzare” eliminando reati gravi (o metterli a querela che è la stessa cosa), ma si doveva fare quella scelta da tutti i tecnici del diritto (siano essi magistrati siano essi avvocati siano essi cancellieri) auspicata che si chiama depenalizzazione dei reati minori con la loro trasformazione in sanzioni amministrative e, quindi, con la possibilità reale di entrate per l’erario. La politica (di destra e di sinistra) miope e scellerata questo non lo ha consentito per interessi di bottega e di urna elettorale. La velocizzazione quindi la si realizza sulla pelle dei cittadini che si ritrovano con meno tutele. Ma, fondamentalmente, non è solo questo il problema. La riforma punta ad un affossamento del processo inteso come dialettica, come dibattito, come contraddittorio e tende a limitare le situazioni nelle quali la formazione della prova avviene nel pieno contraddittorio delle parti. Gli avvocati non sono graditi e, quindi, giù i limiti per l’appello, i limiti per il ricorso in Cassazione e tutti i metodi di deposito che oltre ad essere cervellotici non funzionano e sono causa di nullità (qui deve intervenire la Corte Costituzionale perché la deriva nella pratica è un vero vulnus che lede i diritti dei cittadini). È intollerabile che l’inefficienza del sistema o una imperizia tecnica di deposito si debba paragonare ad una nullità di un atto (espone gli avvocati a responsabilità gravissime per colpe non loro). Inquietante il silenzio del CNF sul punto e addirittura il plauso delle Camere Penali Nazionali che hanno osannato la riforma (temo senza leggerla).
Vi è una grave lesione del diritto di difesa del cittadino nel processo e nel procedimento. Deve sempre prevalere la sostanza sulla forma ed in particolare quando la forma è qualcosa che già di per se non funziona. Non si può mai comprimere il diritto di difesa e farlo regredire a mero formalismo (tutto ciò ricorda la riforma del 1955 sull’interrogatorio all’epoca tanto contestata). Abbiamo studiato legge e non siamo dei “maghi” dell’informatica. E questa introduzione scellerata e diffusa dell’informatica è molto sospetta e maschera una volontà di affossare il professionista con il piccolo studio (libero ed autonomo) ed esaltare i grandi studi legali (che, guarda caso, non hanno eccepito nulla) che possono permettersi degli esperti in materie informatiche che vengono dedicati, esclusivamente, al deposito degli atti. Come diceva un noto politico romano (Giulio Andreotti) a pensare male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca e temiamo (purtroppo) di averci azzeccato. La telematica (lasciata già in paesi come la Francia) è il nuovo metodo della burocrazia per sopravvivere a se stessa. Il muro di gomma del sistema giuridico potrebbe avere conseguenze sociali molto gravi ed inimmaginabili (o immaginabili, ma non dicibili). In verità, il metodo telematico non solo non funziona, ma allunga i tempi del processo e crea delle situazioni imbarazzanti.
Una per tutte: nel distretto toscano se presenti un ricorso in Cassazione con le forme telematiche deve portare 6 copie del medesimo ricorso alla Cancelleria della relativa Sezione della Corte d’Appello. Ora sulla circostanza verrebbe da ridere se non palesasse una situazione tragica. Impongono all’Avvocato un deposito telematico (con evidenti possibili vizi che si tramutano in responsabilità), ma “richiedono” la forma cartacea per le copie che devono essere fatte dall’Avvocato e date ai giudici della Cassazione. Basterebbe stampare, come è ovvio, l’atto inviato. Se, però, manca inchiostro e carta si spiega la richiesta. Si comprende, chiaramente, che siamo nel ridicolo e che quanto viene sbandierato come conquista di una “velocizzazione” del sistema, in realtà, non solo non è reale, ma è una sonora “bufala”. Fatte queste dozzinali considerazioni, ma che nessuno fa (viene il sospetto per interesse di bottega) sorge spontanea una domanda: l’avvocatura unita (penale e civile) non potrebbe richiedere in blocco una abrogazione (almeno possibile) della scellerata riforma Cartabia? Oppure dobbiamo ritenere che i vertici della avvocatura abbiano dato delle rassicurazioni in tal senso? Abbiano dato delle rassicurazioni sul loro silenzio? Si dovrebbe sapere che il processo (civile e penale) non si modifica in modo parziale, ma in maniera complessiva ed organica.
L’avvocatura libera può molto ed è per questo che, forse, gli ordini forensi dovrebbero interagire su questo chiedendo ed ascoltando la base di loro iscritti. Una riforma è possibile e si chiama: abrogazione della legge Cartabia.