Intrattenersi è un bisogno primario. Il bisogno di impiegare il tempo coprendo le giornate con la bellezza e il romanticismo è il segno più grande di vitalità. In tempi dove sono inibite passeggiate e attività sportive occorre trovare il modo di sentirsi vivi anche in una stanza. La buona notizia è che lettura e cinema possono venire incontro a quest’esigenza. Nonostante la grande offerta di film e documentari in streaming capita che qualche perla della cinematografia rimanga nascosta. La passione compulsiva per tutto ciò che è di recente produzione fa perdere di vista quegli anni dove il cinema aveva un sapore diverso, non necessariamente migliore ma sicuramente molto affascinante. Il cinema è pieno di opere “nascoste” in grado di trasformare le serate o i pomeriggi in una piccola oasi di serenità. Parlando di Italia i registi che hanno contribuito a formare quella tradizione che ogni amante della settima arte conosce, sono tantissimi. Accanto ai nomi di dominio pubblico (Fellini, Visconti, Antonioni, Scola e tanti altri) esistono maestri segreti, professionisti che hanno lavorato per il cinema mantenendo un’anima sicuramente meno protagonista dei loro colleghi più blasonati.
Valerio Zurlini
Bolognese di nascita è stato un artista capace di inquadrare perfettamente l’animo umano e regalare storie, di cui scriveva anche le sceneggiature, cariche di una forza straordinaria che risiede in una tranquillità apparente. Ha lavorato come battitore libero previlegiando la qualità alla quantità nella sua produzione. Estremamente innamorato del mezzo cinema ha conosciuto periodi di clamore ad altrettanti di quiete che non lo disturbava affatto. Grande esperto d’arte trascorreva gli inverni a Venezia, dove passeggiava e scriveva saggi di critica. Direttore del doppiaggio per alcuni dei maggiori successi nella storia del cinema, ha lavorato con alcuni dei più grandi attori del suo periodo riuscendo a tirare fuori sempre il meglio dalle loro interpretazioni.
La ragazza con la valigia ( 1961)
Straordinaria vicenda di carattere al femminile. Una donna sedotta si mette sulle tracce del Don Giovanni di turno che non vuole sapere di lei. Lo raggiungerà al suo paese in Romagna ma l’uomo, seccato, le manderà incontro il fratello più giovane che dopo aver conosciuto la ragazza se ne innamorerà. Aida, madre di un bambino , dopo aver capito i sentimenti del giovane Lorenzo sarà costretta a una decisione per il bene di tutti. Scritto dallo stesso Zurlini è uno straordinario ritratto di donna in grado di ribellarsi alla mentalità maschilista dell’Italia a fine anni cinquanta. Protagonista una Claudia Cardinale perfettamente in parte perché in grado di dosare ogni registro recitativo trasmettendo così i dubbi e le poche certezze di una giovane madre.
Estate violenta (1959)
Storia d’amore che fa della malinconia e della leggerezza la sua principale cifra stilistica. Durante l’estate del 1943 un ragazzo, figlio di un gerarca fascista, s’innamora della vedova di un caduto, la loro passione è intensa e i due decidono di scappare in treno a causa dell’escalation militare. Il sentimento rimarrà forte ma le decisioni dovranno scontrarsi con un mondo in procinto di dissolversi. Zurlini supera se stesso mettendo insieme le caratteristiche di Antonioni, Visconti e Rossellini e lo fa raccontando una passione che si stringe grazie alla malinconia e a un linguaggio lieve. I dialoghi sono carichi di rispetto, verso il sentimento e la sceneggiatura priva di alcun compiacimento. Difficilmente il cinema italiano ha avuto un film, dove l’amore riesca a trascinare il pubblico rendendo, altresì, il periodo storico.
Cronaca Familiare 1962
Tratto da un romanzo di Vasco Pratolini il film racconta il rapporto tra due fratelli. Enrico, il maggiore, ricorda la sua vita e quella del fratello Lorenzo. Giornalista e scrittore senza fama Enrico rivive gli avvenimenti che hanno accompagnato entrambi con particolare attenzione a evocare quegli stati d’animo mai affrontati. Leone d’oro al festival di Venezia è uno dei film più riflessivi di Zurlini che coniuga perfettamente il bisogno di malinconia del protagonista e la certezza che alcune situazioni sono irreparabili se non nella totale ammissione degli errori di valutazione. Essere artefici di se stessi è il tema fondamentale di tutta la vicenda, qui adattata e proposta con la solita attenzione al particolare. Mastroianni e Perrin danno un volto alla coppia di fratelli lavorando sui silenzi e facendo trasparire i sentimenti in maniera quasi trattenuta, scelta che ne aumenta la portata agli occhi dello spettatore. Una visone quasi claustrofobica quella di Zurlini che decide di aumentare il pathos attraverso dialoghi quasi lirici e rivolti completamente all’accettazione di entrambi i protagonisti, evitando accuratamente la rassegnazione passiva.
La prima notte di quiete 1972
Essenzialmente un noir dell’anima racconta la storia di un professore vinto dall’esistenza che si rifugia in una cittadina di provincia per dimenticare qualsiasi cosa. Dedito al consumo di alcool e al gioco d’azzardo s’innamora di una sua studentessa identificandola, in maniera annoiata, come un’ancora di salvezza. Chiedendo troppo a se stesso la fine è tristemente nota ma non per forza definitiva. Un film che non può fare a meno di affascinare, per la poesia che racchiude e per l’alone di disillusione che aleggia in tutta la storia. Il professore non è l’unico elemento vinto, lo sono gli studenti, lo sono gli amici di bagordi e lo è la moglie delusa. Zurlini mette in scena un mondo morto che non ha ancora smesso di respirare e lo fa con dialoghi accennati in forma di sentenze e costruendo un’atmosfera da quadro simbolista. Rimini d’inverno è un mondo che fatica a esistere, una perenne attesa del nulla.
Il deserto dei tartari 1976
Tratto dal romanzo di Dino Buzzati è l’ultimo film di Zurlini. Primi del 900, un ufficiale austroungarico è assegnato ai confini del regno con l’ordine di attendere il palesarsi di nemici che non arriveranno mai. Trasposizione perlopiù fedele al libro della quale il regista aumenta ambiente storico e rigore psicologico che Buzzati sceglie di accantonare per favorire allegorie e realismo magico. Ai confini con il deserto le vicende di questi uomini sono una metafora per trasmettere tutta quella malinconia che l’attesa porta con sé. Il regista si congeda dal suo pubblico continuando le riflessioni sull’ineluttabile senso dell’esistenza. “Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l’unica giustificazione”
Parole che il maestro considerava un filo conduttore dietro ogni sua opera.