Come è possibile che il Venezuela, il paese con le più grandi riserve di petrolio del mondo, non abbia più carburante (e quel poco che c’è viene venduto a prezzi insostenibili per la popolazione: sul mercato nero un litro di benzina arriva a costare anche 9 dollari, quasi il doppio del salario minimo mensile (fissato a un valore attualmente corrispondente a 5 dollari)?
Per comprendere questa assurdità è necessario fare un passo indietro. Le riserve di petrolio grezzo del Venezuela sono le più grandi del mondo (oltre 300 Gbbs, miliardi di barili di greggio).Più dell’Arabia Saudita (266) o di Iran e Iraq (ciascuno intorno ai 150 Gbbs). O degli EAU (che non raggiungono i 98 Gbbs). Anche la Libia è molto più povera di petrolio: non va oltre oltre i 48.4 Gbbs.
Purtroppo il petrolio venezuelano è molto diverso dai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks degli altri paesi grandi estrattori di petrolio: il cosiddetto petroleo extra pesado, è molto pesante, somiglia molto alle sabbie bituminose del Canada ed è difficile da estrarre e da trasportare attraverso un oleodotto. La sua lavorazione è molto costosa e necessita di sofisticati sistemi di lavorazione. É per questo motivo che il Venezuela, fino a oggi, non è stato in grado di sfruttare se non in minima parte le enormi ricchezze che possiede.
Ed è per questo motivo che gli USA, fallito il tentativo di rimuovere l’attuale governo (quello di qualche mese fa fu una sorta di tentativo di golpe non riuscito), hanno deciso di tagliare i rubinetti dei prodotti e delle tecnologie che consentivano il trattamento del petrolio e hanno di fatto bloccato l’economia del Venezuela, basata fondamentalmente sul petrolio: molte società si sono rifiutate di fornire servizi e prodotti petroliferi all’industria petrolifera venezuelana, formalmente a causa delle sanzioni statunitensi. I danni per la compagnia petrolifera di Stato, la Petroleos de Venezuela (Pdvsa), primo finanziatore delle politiche del regime (di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi), sono enormi.
A maggio, le estrazioni medie giornaliere sono scese in picchiata fino a livelli pari a -57{4b17928d5b020eda99092df6404d8c5fed75328874c76bb9411b476d5f081a38} rispetto a quanto programmato dalla compagnia statale PDVSA, mai così bassi dal 1945.
Due terzi dei 77 siti estrattivi sono stati chiusi temporaneamente. La situazione è così grave che il governo ha dovuto chiedere aiuto ad alcuni alleati dall’altro capo del pianeta: l’Iran ha annunciato che invierà a Caracas 1,5 milioni di barili. Ma ad un prezzo insostenibile: l’Iran ha chiesto di essere pagato non in bolivar, la svalutatissima moneta venezuelana, ma in oro.
Un controsenso per il paese che dispone della maggiore quantità di oro nero del pianeta.Una ricchezza che potrebbe non essere sufficiente a decretarne il fallimento.